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E' il viaggio attraverso una nuova dimensione del pensiero finora mai conosciuta. Un pensare che si fa esperienza integrale dell'essere nell'ambito dell'indicibile. Un pensare che si muove in un ambito dove la realtà, così come comunemente la conosciamo, è venuta meno. Ma questo cessare della realtà non ha prodotto l'annullamento, la morte, la fine del pensiero, bensì ha generato una nuova consistenza dell'essere e del pensare totalmente liberante. Il libro è quindi il tentativo di dare linguaggio a questo indicibile. La comprensione, secondo le comuni forme della comprensione, può magari apparire difficile, ma se si osa mettere da parte la coattiva esigenza di voler tutto comprendere, altre sfumature, altre presenze, altre illuminazioni potranno fare capolino. E' per certi versi una sfida per chi è alla ricerca di altro, dell'altro non noto, di chi non si accontenta del già dato.
Il pensare come gesto: In-morte assente in due parole. Un libro indirizzato a un lettore disposto a mettersi in campo: egli è invitato a giocare una partita ‘in casa’ ma con regole del tutto diverse, il cui fine è la costituzione di un reale, paradossale all’inizio, per mezzo di un pensare incommensurabile a quello noto. Si tratta di una partita epica, che inevitabilmente trasforma. Come in una complessa partitura a più stratificazioni (prosa, passi di autori vari, immagini tratte da fotografie elaborate più volte, spartiti musicali, sono elementi che partecipano in forma corale), eppure con un testo d’immediata accessibilità, Paolo Ferrari scrive “un reportage dall’altro mondo”, traduzione in scrittura del “fluttuare di un nulla”, un niente fuggevole che disegna un oggetto-non oggetto. Le illustrazioni, assai ricche di dettagli, sembrano non illustrare, le parole parlano ma non dicono la cosa che da esse si aspetterebbe: generano un nulla in cui il lettore scopre di poter stare senza orrore. Nella disattivazione della coazione al significato la cosa cessa e nulla si sostituisce ad essa. Il linguaggio nasce alla mente e in essa cessa rigenerandola, nel segno dello stupore. Sperimentare il niente, pensare niente: ecco il tema! Che la neocorteccia di Homo sapiens debba pensare cose e idee è una scontata ovvietà o un assunto infondato e indiscusso? Ne derivano problemi inusitati e scabrosi posti con tono affettivo: la morte naturale ha finora occupato indebitamente tutto il campo - la mente gliel’ha consentito - e pesa sull’umano l’incapacità dell’astratto morire. Pensare la morte non significa pensare alla morte: è il semplice (al contempo ipercomplesso) saper finire in ogni istante. Si intravede così una nuova frontiera, antiche questioni si pongono altrimenti, nuove vie sono attivate. Estinta la radice meno astratta di Homo sapiens, la vecchia morte muore: “mors stupebit”.
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