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Sono veramente tanti gli spunti offerti da questa bella antologia degli scritti politici di Giovanni Amendola (1882-1926), a cui ci auguriamo che presto se ne aggiunga un'altra di quelli filosofici (nei quali, in qualche modo, si trova la radice dell'intransigenza morale del nostro). Essa è costruita sulla tesi dell'antitotalitarismo perfettamente simmetrico, ovvero equidistante, fra i regimi a partito unico di destra e sinistra. Il curatore individua anzi nell'affermazione di questa tesi il motivo principale dello scarso e inspiegabile interesse suscitato finora da Amendola nel mondo italiano degli studi. Egli, secondo Carioti, fu "l'ultimo dei liberali, il primo degli azionisti": l'ultimo dei liberali perché capì che era giunta l'ora per il liberalismo storico di fare i conti con l'avvento delle masse sulla scena del potere; e il primo degli azionisti perché riteneva che l'etica fosse in qualche modo la precondizione della buona politica. Al contrario del suo amico ed editore Gobetti, Amendola fu sempre risorgimentale: il Risorgimento, secondo lui, era stato sì un movimento di élite e nazionalistico, ma si trattava pur sempre di una élite illuminata e liberale e di un esempio fra i pochi di "nazionalismo democratico" e, sia consentito l'ossimoro, "cosmopolitico" (la dignità della nazione italiana non contraddiceva, anzi esigeva, il rispetto e l'uguale dignità delle altre identità nazionali). Riconoscere il limite storico del Risorgimento, "inverare" il liberalismo delle classi dirigenti nel processo di creazione di una "nuova democrazia", non poteva significare un disconoscimento della sua forza ideale e della validità e modernità dei suoi principi, che prima o poi sarebbero stati riaffermati. La "fede democratica", scrive Amendola nel 1924, è maturata gradualmente negli anni della "battaglia liberale". Ed è con logica consequenzialità che l'Italia liberale cede il passo alla sua figlia legittima, l'Italia democratica: che non disconosce i suoi valori, ma li vuole estendere a tutto il popolo. Essenziale, in questo contesto, per Amendola, è che a sinistra ci sia una chiarificazione. Il 2 aprile 1923 chiede in una lettera all'amico Turati di pensare in grande: cioè a una "grande sinistra", riformistica, conciliata col liberalismo, in grado di passare dall'opposizione al governo lasciando "la fiaccola dell'intransigenza dottrinaria ai cugini massimalisti e comunisti".
Corrado Ocone
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