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Impressioni personali - Isaiah Berlin - copertina

Descrizione


«Si può guardare la vita da molte finestre, e nessuna è necessariamente limpida o opaca, più o meno deformante rispetto a una qualunque delle altre», scrive in queste pagine Isaiah Berlin. Quasi tutti, comunque, tendono a rimanere attaccati alla loro finestra. Berlin invece ha una suprema agilità e disponibilità nel passare dall’una all’altra, sempre con il gesto rispettoso – e intimamente interrogativo – dell’ospite di passaggio. La sua vita è uno fra i migliori esempi che possiamo ricordare di una vita plurale, capace di attraversare esperienze e mondi opposti e incompatibili rendendo giustizia a ciascuno, pronta ogni volta ad apprezzarne la peculiarità irriducibile. Nelle sue pagine, personaggi oscurati dalla loro fama come Churchill e Roosevelt, o grandi studiosi ipocondriaci e incompresi come Lewis Namier o scrittori amati e poi obliati come Aldous Huxley appaiono con la naturalezza, la precisione nel dettaglio, il tono giusto che conosciamo dai ritratti dei grandi classici. E mondi così lontani come la Oxford degli Anni Trenta, con le sue dispute roventi, e anche comiche, fra i nuovi filosofi del linguaggio, e la Russia terribile degli anni 1945-1956, dove resistevano solitarie figure come Anna Achmatova o Boris Pasternak, ci si rivelano con stupenda vivezza. A volte si direbbe che qualcuno apra la porta di casa dinanzi a noi («Anna Andreevna Achmatova aveva un aspetto imponente, gesti pacati, una nobile testa, tratti bellissimi, un po’ severi, e un’espressione di infinita tristezza»). Berlin sa capire le persone che incontra senza mai ridurle a una sua preesistente misura. Non si mette mai in primo piano, lascia che queste «impressioni personali» ci vengano incontro con il fraseggio di quelle conversazioni deliziose che talvolta risuonano in sogno, finché non vi affiora «qualcosa che non era stato detto altrove», includendo in ciò l’involontario autoritratto di una mente duttile e sapiente come pochissime altre del nostro tempo.

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Dettagli

1989
20 marzo 1989
265 p., ill.
9788845906794

Voce della critica


recensione di Gastaldo, P., L'Indice 1989, n. 7

"Impressioni personali" è l'ultimo volume (solo per ora, si spera) della serie che Henry Hardy ha curato per la Hogarth Press (ripubblicata in 'paperback' dalla Oxford University Press), con l'intento di raccogliere gli scritti sparsi di Isaiah Berlin, disseminati, ma si direbbe addirittura scialacquati, dall'autore su decine di raccolte e periodici, alcuni dei quali pressoché clandestini. L'opera di Hardy è senza dubbio meritoria, così come l'iniziativa della Adelphi di tradurre in italiano i quattro volumi (è già comparsa la traduzione di "Russian Thinkers", dovrebbe seguire quella di "Against the Current"); ed è al tempo stesso sintomatico che per far crescere di quattro titoli la bibliografia di Berlin - vale a dire di quello che molti considerano uno dei maggiori intellettuali del nostro tempo - ci sia voluta l'iniziativa di un ammiratore, accettata con cortese scetticismo e una certa ritrosia da Berlin stesso. Il fatto è che c'è sempre stato qualcosa di incompleto nei testi berliniani, probabilmente legato all'approccio stesso di Berlin con la scrittura.
Per nessun altro grande pensatore contemporaneo si è tanto spesso come per Berlin affermato che i suoi scritti non danno un'idea completa dell'uomo e del suo valore intellettuale, o lamentata la mancanza di un 'opus magnum' veramente all'altezza dell'autore. Sono osservazioni sensate, ma che in qualche modo sbagliano bersaglio. Il fatto è che il piacere di leggere Berlin, ed è un grande piacere, dipende in maniera considerevole dalla costante impressione di essere all'ascolto di un grande conversatore, sinceramente interessato a una grande varietà di aspetti della vita e della cultura, straordinariamente informato su quasi tutto, ma in fondo non interessato a quel processo di cristallizzazione che la scrittura accademica porta inevitabilmente con sé, n‚ dominato da una gerarchia di valori intellettuali o politici così definita da fargli ritenere più importante, poniamo, la teoria della conoscenza piùttosto che il melodramma italiano dell'Ottocento.
È un grande merito della traduzione italiana la resa veramente eccellente della fluidità e della eleganza della scrittura di Sir Isaiah (che tra l'altro, e questo spiega molto, detta abitualmente i suoi testi limitandosi a rivederli dopo la trascrizione); mentre è un vero peccato che la selezione più ristretta rispetto all'edizione originale abbia lasciato fuori alcuni scritti, come quelli su Auberon Herbert o Felix Frankfurter, che stanno nella linea dei migliori ritratti brevi di scuola inglese, da Aubrey a Lytton Strachey, ed altri, come il breve saggio su F. D. Roosevelt, di grande penetrazione psicologica ed acume storico.
Ciò detto, i testi riprodotti in questa versione sono più che sufficienti per rendere il libro una piacevolissima introduzione al mondo intellettuale di Berlin, ed alla sua esperienza di vita. La raccolta presenta cinque profili di persone che Berlin ha conosciuto e (in modi e con intensità diverse) frequentato: Winston Churchill, Chaim Weizmann, Lewis Namier, J. L. Austin e Aldous Huxley. Ad essi si aggiunge il racconto degli incontri intellettuali che hanno accompagnato i suoi due primi viaggi in Urss, nel 1945 e nel 1956. Questo saggio, così lontano per eleganza e profondità da quel sottogenere vanamente imbarazzante che è stato il "viaggio in Urss" nelle mani degli entusiasti come di molti dei detrattori, basterebbe da solo a giustificare il libro e a dare un'idea della capacità di scrittura di Berlin.
In tutti i saggi, peraltro, si respira un'aria molto diversa da quella tipica di parecchie raccolte correnti di profili, ritratti, o interviste. Innanzi tutto, Berlin scrive solo di persone per le quali ha nutrito una reale ammirazione. E in un mondo dove ogni mezza calzetta non esita ad esternare le proprie profonde riserve sul resto dell'umanità, la generosità di Sir Isaiah è davvero consolante, tanto più in quanto non dipende da un generico "buon carattere", ma da una scelta di fondo. E questa ammirazione si traduce in una sorta di grande stile (non a caso Berlin stesso cita la forma dell''eloge' settecentesco come antecedente di questi suoi testi), marcato da una aggettivazione molto ricca, poco comune nella saggistica inglese, che fa talvolta pensare a G.M. Hopkins, e che lungi dal destare fastidio rende la prosa di Berlin precisa, vivida, chiara. È uno stile che non si nega escursioni in generi molto diversi: tipicamente berliniano è ad esempio immaginare un incontro-scontro tra Shelley e Voltaire per spiegare alcune diversità fondamentali tra Settecento ed Ottocento, e poi tra Europa ed America, ed infine tra Churchill e Roosevelt. Né deve stupire che questa ammirazione si eserciti verso uomini molto diversi, dal filosofo Austin (a cui è dedicato uno degli scritti migliori, che è anche un eccezionale frammento sulla vita intellettuale a Oxford) al sionista Weizmann; la filosofia berliniana è un pluralismo radicale, molto più sanguigno delle versioni correnti in casa liberale, che assomiglia parecchio a una sorta di politeismo laico (peraltro privo di parentele con la versione weberiana del concetto). Alla sua base sta il convincimento che vi sono molti valori "veri" in un senso profondamente oggettivo, e altrettanto profondamente non conciliabili n‚ ordinabili. Valori che acquistano il loro senso in quanto in carnati in persone, in culture, in opere d'arte. Parlare di persone ammirevoli, delle loro vite, di ciò che essi hanno desiderato e per cui hanno lottato è un modo, forse il modo principale, per parlare di valori e di idee, ognuna in sé vera e, di nuovo, ammirevole.
Tra le accuse rivolte a Berlin, c'è spesso stata (da ultimo l'ha formulata Roger Scruton, in un articolo velenoso dedicato all'ottantesimo compleannno di Sir Isaiah) quella di essersi disperso in una vita da 'socialite', di avere sperperato i propri talenti nella frequentazione mondana. Da Proust in avanti, anzi, almeno da Saint Simon, sappiamo che più di un rivolo unisce la grande letteratura alla grande mondanità. Se anche l'accusa fosse vera, gli scritti che sono nati dalle frequentazioni berliniane sarebbero più che sufficienti a riscattarlo. Resta un rimpianto: che non ci sia da qualche parte un altro Berlin capace di lasciarci la sua "impressione personale" su Sir Isaiah.

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Conosci l'autore

Isaiah Berlin

1909, Riga

Isaiah Berlin (Riga 1909 - Oxford 1997) è stato un filosofo lettone, naturalizzato inglese. Teorico del liberalismo inteso come limitazione delle ingerenze statali sulla società e sulla vita dell'individuo, ha insegnato Teoria sociale e politica all’Università di Oxford, ha fondato il Wolfson College, di cui è stato anche rettore, ed è stato presidente della British Academy. Molte delle sue opere sono tradotte in italiano. 

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