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L'immagine fantasma - Hervé Guibert - copertina

Descrizione


«Solo oggi, quarant’anni dopo, trenta dalla morte di Guibert, grazie alla prima traduzione italiana a cura dell’editore Contrasto, i lettori italiani possono finalmente apprezzare la corrente elettrica ustionante che lega e oppone questo testo al suo più celebre modello. E ricavare dal confronto una profezia sull’esplosione dell’iconosfera nel terzo millennio» - Michele Smargiassi, Robison

"Ciò che mi ha spinto a scrivere è stato il rimpianto per le foto sbagliate, le foto che non sono riuscito a scattare, che non ho potuto fare, che si sono rivelate invisibili, come fantasmi. Ho pensato di scrivere per ritrovare la stessa sensazione che volevo dare a quelle foto". In un'intervista del 1981, Hervé Guibert - scrittore, giornalista, fotografo, critico per il quotidiano Le Monde - parlava così de suo libro, "L'immagine fantasma", pubblicato ora per la prima volta in italiano. Volutamente privo di fotografie, "L'immagine fantasma" racconta il rapporto di Guibert con il fotografico: le sue prime immagini erotiche, un reportage sulla madre la cui immagine non verrà mail rivelata, il lento disfacimento di una foto destinata a consumarsi e a morire, e poi immagini fantastiche o intime al punto da diventare invisibili. Il libro non è un testo teorico ma una raccolta di storie che esplorano, attraverso le avventure personali, i diversi tipi di fotografia: familiare, di viaggio, le fototessere, le Polaroid, la fotografia pornografica o giudiziaria. Una scrittura intima e profonda, nata in una stagione di nuova attenzione verso la fotografia e quasi a commento de "La camera chiara" (1980) di Roland Barthes, di cui sembra una sorta di continuazione letteraria. Introduzione di Emanuele Trevi.
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Dettagli

2021
15 aprile 2021
200 p., ill. , Brossura
9788869658570

Valutazioni e recensioni

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Elsa
Recensioni: 5/5

Forse lo si ama di più conoscendo l'autore, ma rimane un testo bellissimo che rimane impresso. Rispetto a tutto quello che si poteva dire, non ho apprezzato l'introduzione, derivativa di un articolo più complesso e non convincente. Ma sono molto felice che finalmente sia stato tradotto in italiano.

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sergio
Recensioni: 3/5

sono arrivato al libro con grandi aspettative dopo l'endorsement di campany. nel complesso deludente. qualche guizzo.

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Fabio
Recensioni: 4/5

Edizione molto bella per un testo fatto di lampi brevi e brevissimi. Bellissima l'introduzione di Trevi.

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Recensioni

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Voce della critica

«Non fotografare che le persone che ti sono estremamente familiari […], l’emozione che la precede trascinerà con sé la foto…»

In questo breve libro sulla fotografia, Hervé Guibert (1955-91) – scrittore, critico fotografico, fotografo –
ripercorre il suo rapporto con le immagini, con tutta la spudoratezza e la cattiveria tenera che sono la cifra distintiva della sua scrittura.

L’introduzione di Emanuele Trevi all’edizione italiana pone l’accento sul legame tra il libro di Guibert e La camera chiara di Roland Barthes, uscito l’anno prima. Guibert finisce infatti per essere, per molti versi, un anti-Barthes o quantomeno un oltre-Barthes. Se Barthes parte da un aspetto autobiografico, il libro di Guibert sarà pura autobiografia. Se Barthes vuole arrivare a una teoria, Guibert sarà episodi e corporeità. Se Barthes mette al centro il legame tra fotografia e morte, i testi di Guibert saranno vita: anche e forse proprio perché, pur parlando di fotografie, saranno prima di tutto scrittura.

Finito per caso a ricoprire il ruolo di primo critico fotografico per Le Monde, quando pubblica L’immagine fantasma nel 1981, Guibert, venticinquenne, ha già alle spalle alcuni anni di esercizio nel parlare di immagini ai lettori in assenza di illustrazioni. E di immagini, nel suo libro sulla fotografia, non ce ne sono.

In questa breve raccolta, come altrove nell’opera dell’autore, si trova di frequente una strategia narrativa che vede un’immagine assente (desiderata ma impossibile, o mancata, o fantasticata) diventare parola

Il testo scritto, pur presentandosi come «disperazione dell’immagine» e «rimpianto fotografico», è in realtà l’unico medium in grado di rispondere al bisogno dell’autore: che era un desiderio, prima ancora di essere un’immagine, e che, in quanto desiderio, può sopravvivere solo nella scrittura – «pratica malinconica» – e non nella fotografia – «pratica inglobante e smemorata».

Ed è questa, se ce n’è una, la “teoria” che emerge da queste pagine: l’importanza del personale, dell’individuale estremo, dell’autentico, del desiderio e della materialità (non a caso sono inclusi anche un testo sull’operazione, allora manuale, di ritocco delle immagini, e uno su un’immagine che sbiadisce a contatto col corpo dell’autore, finendo per tatuarsi sulla sua pelle) come unici elementi che salvano dalle tentazioni verso il lato puramente tecnico e l’automatismo che un’arte “meccanica” come la fotografia porta con sé.

Di questi brevi brani si potrebbe dire quello che la dedica del libro dice di «T. »: anch’essi sono «usciti» dal «romanzo generale» che è e sarà, negli anni seguenti, l’opera di Guibert. Stessi i personaggi dietro le iniziali puntate, stessa la passione per l’indiscrezione e il tradimento di segreti che «devono circolare», stessa la capacità della sua scrittura di scolorire come la foto del racconto per incollarsi alla pelle di chi legge.

Chiara Marotta

 

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Conosci l'autore

Hervé Guibert

(Saint-Cloud 1955 - Parigi 1991) scrittore francese. A lungo critico fotografico di «Le Monde», si fece conoscere come narratore con il romanzo La morte propaganda (La mort propagande, 1977, nt), cui ne seguirono altri di tono vagamente autobiografico (I miei genitori, Mes parents, 1986). Gli ultimi libri, da All’amico che non mi ha salvato la vita (A l’ami qui ne m’a pas sauvé la vie, 1990) a Citomegalovirus (1992), raccontano con estrema lucidità la difficile convivenza dell’autore con l’AIDS, la malattia che l’ha condotto alla morte.

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