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Imbrogli di guerra. Scienziate e scienziati contro la guerra
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2000
1 gennaio 2000
161 p.
9788886973212

Voce della critica



Marenco, Franco (a cura di), Imbrogli di guerra, Odradek, 1999
AA.VV., Il rovescio internazionale. Vademecum per la prossima guerra, Odradek, 1999
recensioni di d'Orsi, A. L'Indice del 2000, n. 06

Guerra del Kosovo, o guerra dei Balcani, o ancora - e meglio - guerra della Nato: contro la Jugoslavia, ma anche, forse, contro l'Europa; e, in sostanza, guerra della Nato per autoaffermarsi come unico soggetto sovranazionale capace di dispensare premi e punizioni. È trascorso ormai un intero anno, da quella che potremmo chiamare, alla Marc Bloch, una drôle de guerre: una "neoguerra", secondo qualcuno (Umberto Eco), una "non guerra" secondo molti altri: operazione di polizia internazionale, intervento umanitario, espiazione necessaria... Nel tentativo di giustificare ciò che accadeva, o più esplicitamente di teorizzare il necessario dominio mondiale americano, molte parole della "neolingua" di guerra vennero impiegate dai governanti, da poco disinteressati osservatori professionali, dai comunicatori. Quei 78 giorni di "incursioni aeree" furono giorni in cui mentre le popolazioni jugoslave ricevevano la civiltà occidentale sotto forma di un massiccio e intensivo bombardamento, a noi, cittadini delle diciannove potenze alleate che somministravano giustizia, toccò subire un altrettanto massiccio e intensivo bombardamento mediatico in cui una volenterosa coorte di intellettuali fu ingaggiata a svolgere il suo servizio "P" (come "Propaganda"). Sicché, mentre con una scientifica imparzialità i nostri missili aeroguidati e le nostre bombe di ogni tipo - grande occasione di sperimentazione scientifica e tecnologica, la guerra! - si distribuivano su Kosovo, Serbia, Vojvodina, e, all'occorrenza, anche sul Montenegro, a noi toccava sorbire quotidianamente non soltanto la blanda e ingente messe di non-notizie sulla non-guerra, ma altresì l'ancor più indigesta razione di commenti da parte di pseudocorrispondenti di guerra o di anchormen all'amatriciana i quali, sulla base delle non-notizie di cui disponevano, costruivano i loro non-discorsi: piccoli castelli di carte destinati a essere spazzati via dal prevedibile affiorare di qualche frammento di verità. Ora che molti - sempre troppo pochi - di quei pezzetti di verità sono venuti alla luce, ci sarebbe facile (intendo a chi fu, allora, apertis verbis contro quella guerra) dire "io l'avevo detto!"; ma cui prodest? E, soprattutto, a chi parlerebbero le nostre voci? Qualcuno sarebbe disposto ad ascoltarle? Anzi: qualcuno ha ancora voglia di sentir parlare di quella guerra? Ebbene, se qualcuno nutre il bisogno di farlo, ora ha un'occasione per riscuotere il cervello e la coscienza dalla torpida pigrizia in cui tutti ricadiamo.
L'occasione è data due libri, di picciol pondo e di vil prezzo. L'editore è lo stesso: una piccola casa romana, Odradek, che da pochi anni, faticosamente, cerca di uscire dalla semiclandestinità. Con l'annunciata joint venture con la rivista "Giano" (la prima e unica rivista italiana di ricerche sui temi della guerra, della pace, dell'ambiente e sui "problemi globali", che dal 1989 porta avanti una linea di ecopacifismo militante, en marxiste), Odradek forse riuscirà a essere in futuro una presenza meno evanescente sui banchi delle librerie e nei nostri scaffali privati. Intanto chi non la conoscesse può cominciare appunto dai due libretti in questione. Sono volumi di autori vari, che risentono anch'essi della fretta di scendere in campo contro la guerra; realizzati a guerra finita, ancora a caldo, ma tenendo conto delle riflessioni e delle discussioni che si sono svolte un anno fa sostanzialmente ai margini di un mondo intellettuale afono se non del tutto muto, quando non schierato, pur con tutti i distinguo possibili, accanto agli aggressori. E in effetti questi due volumi echeggiano i dibattiti che, nell'ambito di una frammentata e iperminoritaria sinistra non allineata e coperta, hanno accompagnato il fragor delle bombe e le luci traccianti dei missili su Belgrado, sui ponti di Novi Sad, sulla fabbrica Zastava di Krakujevaz, sulle raffinerie di Pancevo. Eco di un passato indigesto e indigeribile che si propone dichiaratamente come un memento per un futuro che forse già si annuncia minaccioso: "Vademecum per la prossima guerra", recita significativamente il sottotitolo di uno dei due volumi, forse il più riuscito. A partire dall'ampia introduzione (dell'editore, ossia Claudio Del Bello) la guerra della Nato si mostra nella sua teratologica novità. Una guerra che sostituisce ai diritti del cittadino i vaghi e più elementari "diritti umani"; una guerra che vanifica il diritto internazionale e abolisce il concetto stesso di Stato sovrano; una guerra che santifica due princi-
pi ambigui e potenzialmen-
te pericolosis-
simi: il diritto di "ingerenza umanitaria" e quello di "autodeterminazione dei popoli"; una guerra che sostituisce un'alleanza politico-economica e il suo braccio armato all'Onu e alla sua logica istituzionale e politica; una guerra che segna, con una sconfitta epocale della sinistra internazionale - pari per gravità a quella del 1914, quando lo scoppio del conflitto vide l'allineamento dei partiti socialisti alle rispettive borghesie guerrafondaie - anche il forse definitivo arruolamento della stragrande maggioranza dei "chierici" sotto le insegne del potere; una guerra che probabilmente costituisce una uscita di scena della politica, non sappiamo quanto a lungo e quanto profondamente; una guerra che trasforma, definitivamente e irrevocabilmente, il conflitto militare tra eserciti o degli eserciti contro le popolazioni civili in attacco all'ecosistema; una guerra, infine, che non è azzardato prevedere inauguri un'età di guerra permanente. E cosa pensare di quello sforzo di uniformazione (e di conformazione) compiuto a suon di bombe e di propaganda in quello che rimaneva, malgrado tutto, uno Stato multietnico e multireligioso, uno Stato che pur senza esserlo si richiamava pervicacemente al socialismo e che non voleva saperne di piegarsi alla Nato e a un'Unione Europea emissaria di Washington? Con la guerra del Kosovo vengono gettate le fondamenta di un Super-Stato, un Impero pronto a colpire ovunque risulti un'"anomalia": si annuncia gloriosamente la fondazione di questo nuovo Leviatano: "un solo mondo, un solo modo di produzione, un solo mercato, un solo prezzo universale per ogni merce, un solo sistema di tassazione, un solo quadro normativo (...). Una sola lingua, una sola moneta, un solo esercito fondato sul monopolio di determinate tecnologie".
Il volume si snoda attraverso i contributi di grande interesse, talora un po' provvisori e affrettati, talaltra penetranti e più riflessivi, di numerosi autori: Annamaria Rivera (sulla "guerra umanitaria"), Felice Accame e Carlo Oliva (sulle parole della "normalizzazione balcanica"), Franco Gallerano (sul nuovo complesso rapporto che questa guerra introduce con l'agire politico), Paolo Persichetti (su una guerra senza etica guerriera), Enzo Modugno (sul militarismo keynesiano degli Usa), di Angelo Baracca (sulla guerra ambientale), di Fulvio Vassallo Paleologo (sulle vessazioni di questa "pace"), Guido Ambrosino (sulla guerra vista dalla Germania, che rompe così la sua cinquantennale pace), Alberto Tarozzi (impressioni dalla Serbia), Sandro Portelli (sul politically correct di questa e altre guerre recenti), Sergio Cesaratto (su economia, economisti e guerra).
Più ricco di articoli specificamente scientifici il secondo volume, in cui nondimeno permane un certo tasso di provvisorietà e di volatilità degli interventi. Curato da un giova-ne ricercatore dell'Enea, Franco Marenco (nulla a che fare con il letterato-comparatista membro del comitato di redazione dell'"Indice"), Imbrogli di guerra è peraltro un tentativo assai utile e soprattutto tempestivo di far scendere in campo gli scienziati e farli rivolgere a un pubblico extra-accademico, a partire da un Seminario svoltosi nel giugno '99 a Roma (molti di coloro che vi sono coinvolti prenderanno parte al II Convegno di scienziati e scienziate contro la guerra organizzato al Politecnico di Torino per il 22-23 giugno 2000). Se è vero, come già ricordato, che tra le peculiarità di questa guerra vi sono gli aspetti scientifici e tecnologici, assai opportuno è tentarne un'analisi capace di rivolgersi anche al di fuori delle esigue schiere dei cultori della biochimica o della termodinamica. I collaboratori di questo volume (da Alberto Di Fazio a Andrea Martocchia: in tutto una quindicina di studiosi) affrontano i temi cruciali dell'uranio impoverito, della crisi energetica, del gravissimo impatto climatico, degli effetti definiti "aspecifici" non solo dei bombardamenti ma più in generale delle armi (a cominciare dunque da chi le usa) sulla salute. Quando pensiamo alla Jugoslavia, una terra con cui gli italiani hanno intrattenuto, lungo tutto lo scorso mezzo secolo, relazioni economiche, culturali e soprattutto umane importanti e ricche, oggi non abbiamo che uno scenario di desolazione, di distruzioni materiali e immateriali. Il Danubio divenuto torbido e scuro porta pesci deformi e innumerevoli bombe inesplose giacciono sotto pochi metri di terra o di acqua, mentre tonnellate di sostanza tossiche, la cui pericolosità non siamo in grado di valutare appieno oggi, corrompono ogni catena vitale. La lotta per la pace oggi, più che mai, si fa innanzi tutto attraverso lo studio. Il tempo della deprecazione, dell'auspicio e della preghiera è finito, quello della lotta è appena cominciato.

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