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Se davvero i romanzi si scrivessero da soli, come sosteneva Roland Barthes, non sussisterebbe il problema di leggere questa biografia, una lettura greve, pesante, che procede per accumulazione di episodi e offre un ritratto senza luce dei due campioni della generazione perduta. Al contrario di chi li scrive, infatti, i romanzi non si ubriacano alle feste strisciando sotto i tavoli, non fanno a botte con i tutori dell'ordine dell'illustre città di Roma e non insultano gli amici umiliandosi il giorno dopo in scuse riparatrici; nemmeno si fanno aiutare per anni a emergere come scrittori per poi ripagare colleghi (ed editors solidali come Max Perkins di Scribner's) con critiche velenose sul piano professionale e umano.
Fitzgerald ed Hemingway, purtroppo, sì. Su queste sgradevoli debolezze e piccinerie, su questo gioco al massacro che ha regole ancor più labili degli incontri di pugilato del giovane Ernest, vede la luce un libro adatto principalmente ad alimentare polemiche, per quanto stantie. Le quasi cinquecento pagine del testo lavorano nella direzione di distruggere gli opposti miti, legati al successo e al fallimento, che i due scrittori avevano creato nel corso delle loro esistenze e che vivono tuttora anche sulla pagina scritta, si pensi ad autobiografie più o meno esplicite come le mirabili, tragicomiche Pat Hobby stories ambientate a Hollywood e i ricordi parigini, di A Moveable Feast. Qui, al contrario, non v'è grandezza nell'agire dei due scrittori, nel bene come nel male, solo comportamenti dettati dall'opportunismo o dal vittimismo.
Va detto che vi sono annotazioni interessanti e utili: Fitzgerald che funse da "miglior fabbro" poundiano nello sfrondare i primi, goffi, paragrafi di The sun also rises (ed Hemingway, meschinamente non glielo perdonò). Più spesso, però, Scott Donaldson non esita di fronte alle forzature vere e proprie, come l'improbabile parallelo fra la relazione di Hemingway con l'infermiera Agnes von Kurowski e quella di Fitzgerald con la giovane ereditiera Ginevra King. Ginevra e Francis Scott si conobbero poco più che adolescenti: e il loro, a quanto risulta dalla stessa lettura, fu poco altro che un flirt, e molto probabilmente il modello della protagonista femminile di The Great Gatsby fu la stessa Zelda, e non questo amoruccio velleitario. Per quanto concerne Hemingway, la relazione fu più seria, ma qui entra in gioco un altro aspetto deteriore del biografo, il rimproverare lo scrittore perché non riporta pedissequamente nella finzione narrativa il suo vissuto: così il racconto Una storia molto breve "distorce in maniera drastica il contenuto della lettera": un assurdo, un'imperdonabile ingenuità che ricorre più volte nel testo, quasi che l'arte non debba possedere una totale autonomia rispetto alla realtà, a cui pure si ispira.
La creazione letteraria viene degradata da Donaldson a confessione sul lettino della psicoanalista, e analizzata con strumenti analitici di non eccelso livello, come l'articolo intitolato Sopravvivere all'amore: come aggiustare un cuore infranto. Qualche sarcasmo è ben lecito.
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