I guerrieri della tempesta. Le storie dei re sassoni

Sono trascorsi tre anni da quando lady Æthelflaed è salita sul trono. Il passato è ancora fresco, ma in fondo la lunga lotta per succedere al fratello Aethelred è finalmente finita. Milady è riuscita a dimostrare che anche una donna può tenere con fermezza lo scettro senza doversi per forza trasformare in una Lady Macbeth.

Ora però ci sono nuovi nemici all’orizzonte. Non più l’infida l’aristocrazia anglosassone, ma i temibili uomini del nord, i Normanni, o Vichinghi se preferite, pronti a oltrepassare con le loro Drakkar le bianche scogliere di Dover.

Fortuna vuole che abbia Uhtred al suo fianco, indomito paladino sotto il cui mantello l’intera isola britannica è pronta a ripararsi per respingere le vili orde pagane. Prima però Uhtred dovrà risolvere alcune situazioni personali, come per esempio riprendersi il feudo di Bebbanburg, in una lotta che lo vedrà vagare per i borghi di un’Inghilterra frazionata tra migliaia di piccoli casati, a reclutare ribaldi recalcitranti e altri masnadieri pronti a seguirlo fino all’Inferno, sperando che nel frattempo l’ameno luogo non cambi re. Da Satana a Loki il passo potrebbe essere molto breve.

Al netto dell’esuberante epica guerriera, che è sempre un gran piacere leggere, il punto di forza dei libri di Cornwell è la salda direzione verso cui ogni episodio della sua saga si muove. Lo spazio dedicato alle battaglie, la polpa di ogni suo libro, potrebbe fagocitare la trama, ma l’autore riesce ogni volta, quasi inaspettatamente, a dare una cornice coerente alle vicende belliche. Di questo passo Cornwell potrebbe arrivare al Rinascimento e nessuno se ne lamenterebbe. Sarebbe quindi ingeneroso dare ragione ai suoi critici e ridurre i suoi lavori a mero esercizio descrittivo. La saga de “L’ultimo re”, ora giunta al nono volume sarà forse frutto di una formula vincente auto-riproduttiva, è difficile negarlo, ma ad avercene di romanzi storici così ben scritti. Cornwell è un’icona del genere e questo libro non può che confermarlo.

Recensione di Matteo Rucco