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Il grande massacro dei gatti e altri episodi della storia culturale francese
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Il grande massacro dei gatti e altri episodi della storia culturale francese - Robert Darnton - copertina
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grande massacro dei gatti e altri episodi della storia culturale francese

Descrizione


«Robert Darnton possiede la curiosità investigativa del reporter di razza, la scrupolosità dello studioso e la sensibilità del romanziere». Così un illustre critico, Stanley Hoffmann, presentò questo libro quando apparve in America nel 1984. Di fatto, il progetto di Darnton è estremamente ambizioso: si tratta, nelle parole dell’autore, «di mostrare non solo che cosa pensava la gente, ma come pensava – come interpretava il mondo, gli dava un senso e gli conferiva un significato emotivo». Così Darnton ha scelto la via di illuminare la sensibilità e i modi di vita del Settecento francese, in ambienti disparati, attraverso sei storie, in gran parte basate su inediti documenti di archivio, che qui balzano sulla pagina come altrettanti racconti. Si passa dal «grande massacro dei gatti», feroce vicenda che si svolge nell’ambiente artigiano di Parigi, alle indagini di un ispettore di polizia che sorveglia le attività di scrittori considerati pericolosi per il regime; dalle strategie di Diderot e d’Alembert nel corso dell’immenso lavoro per l’Encyclopédie alle singolari reazioni dei lettori allo scrittore che scosse radicalmente la sensibilità dell’epoca: Rousseau. E il saggio iniziale illumina il truculento folklore contadino che fa da sfondo alle grandi fiabe di Perrault e Madame d’Aulnoy. Magistrale nell’uso e nella scoperta delle fonti, Darnton unisce alla solidità della dottrina un gusto delizioso per l’avventurosità del reale. Seguendolo per le vie poco battute che qui ci rivela, ci troveremo ad avere, alla fine, un’immagine molto più precisa, molto più concreta di una grande epoca, che spesso si presenterà con aspetti diversi e contrastanti rispetto a quelli troppo levigati che la memoria storica ci ha trasmesso. Con questo libro variegato, Darnton ci dà l’esempio più efficace della sua maniera (se non vogliamo usare parole ingombranti come «metodo»).

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Dettagli

1988
7 novembre 1988
422 p., Brossura
9788845903120

Voce della critica


recensione di Tarpino, A., L'Indice 1989, n. 6

La storia cui fa riferimento in apertura del volume Robert Darnton, noto per i suoi studi sul Settecento e in particolare sull'esperienza dell'"Encyclopédie", è "storia nella sua varietà etnografica". A differenza di quanto avviene spesso, questa dichiarazione d'intenti fuoriesce dai limiti di un convenzionale galateo interdisciplinare, per calarsi nel vivo di una concreta proposta storiografica: dove lo storico delle idee traccia la linea di filiazione tra le diverse forme del pensiero, lo storico-etnografo studia la "cosmologia" della gente comune, il modo in cui le persone dotavano di senso il loro universo. Non si tratta solo di scoprire cosa la gente pensasse ma come quale visione della vita, o per meglio dire quale orizzonte simbolico fosse sotteso al comportamento sociale. Se l'agire materiale trova rispondenza nel sostrato simbolico di ogni cultura, è proprio nel punto di tangenza tra i due livelli - afferma in sostanza Darnton - che si deve appuntare l'attenzione inevitabilmente straniera dello storico.
A riprova di ciò, l'autore si misura con sei "panorami inconsueti" - per usare un'espressione a lui cara - frutto di un capillare lavoro d'archivio sulle zone d'ombra della tarda età dei Lumi: il dato che li accomuna è l'opacità di senso, l'effetto di straniamento, il basso grado di leggibilità dei codici collettivi. Emblematica a questo proposito la strana vicenda che dà il titolo al volume, ambientata nella Parigi del Settecento e coronata da un feroce massacro di gatti: un gruppo di apprendisti tipografi, esasperati dalle dure condizioni di lavoro e dalla scarsa considerazione in cui erano tenuti dal padrone e dalla sua consorte, inscenano, secondo i ritmi di uno sperimentato cerimoniale, una spettacolare esecuzione di gatti. Due sono le domande a cui Darnton cerca anzitutto di offrire una risposta: perché i gatti e che tipo di messaggio questa macabra provocazione intendeva comunicare? L'analisi si articola su livelli sfalsati: quello dell'evento, per cosi dire, all'interno del quale i gatti, amati dai padroni della tipografia più degli operai, divengono l'oggetto-transfert su cui riversare tutto l'odio accumulato dai dipendenti nei confronti dei padroni stessi; e quello della attivazione di un archetipo secondo cui i gatti rappresentano tradizionalmente l'incarnazione del demonio. Il gioco crudele posto in atto dai lavoranti, il finto processo degli animali tra risa e sbeffeggi rabelaisiani, acquistano a poco a poco i tratti di un'offesa metonimica secondo le modalità tipiche del 'charivari' (l'uso di schernire ritualmente i comportamenti non condivisi, volto a esprimere e imporre il controllo comunitario nella vita sociale dell'Europa preindustriale). Gli operai - conclude Darnton - sapevano allora manipolare i simboli nel loro linguaggio non meno efficacemente degli scrittori nei libri stampati.
Ed ecco proprio il caso in questione: ne "I lettori rispondono a Rousseau" Darnton esamina i criteri di selezione che guidavano il pubblico del tempo nella scelta dei libri. Si introduce nella biblioteca di un borghese parigino, il mercante Jean Ranson, scruta la sua corrispondenza alla ricerca delle ordinazioni di volumi, ne constata l'amore materiale per l'aspetto tattile, la rilegatura, la carta, la composizione dei caratteri; riconosce tra gli autori preferiti di Ranson Cervantes, Madame de Genlis e soprattutto Rousseau sul quale il mercante giunge a modellare i suoi gusti, le sue idee, il suo stile di vita. Rousseau diviene per Darnton la spia attraverso cui misurare la mentalità del lettore medio, riportare alla luce i criteri mediante i quali gli scrittori raggiungevano le corde emotive di larghi strati di popolazione. Al centro dell'indagine la "Nouvelle Héloise", un'opera cosi richiesta che i librai noleggiavano il libro a giornata per dodici soldi all'ora. Ancora un enigma del passato: sei volumi carichi di considerazioni sull'amor virtuoso, privi per lo più di trama e certamente di disagevole lettura al giorno d'oggi, che all'epoca fecero versare fiumi di lacrime: ridussero l'abate Pernetti sulle soglie dell'infarto - sappiamo dal fitto carteggio che i lettori intrecciarono con Rousseau - portarono sull'orlo del delirio la marchesa di Polignac, stroncarono, grazie ai violenti singhiozzi, un brutto raffreddore a Daniel Roguin; obbligarono, infine, il barone de La Sarraz a rinchiudersi in camera per dar libero sfogo alle lacrime senza essere sorpreso dai domestici. Ai vibranti dialoghi di Julie e del suo amato Saint-Preux come alla narrativa in genere si fin per applicare - suggerisce Darnton - uno stile di lettura in cui confluivano antiche enfasi di segno religioso, propri del Cinquecento e del Seicento, e accese vocazioni "interiorizzanti" che già anticipavano l'epoca romantica.
Gli intellettuali, forse i veri protagonisti, ricorrono anche in altre parti del libro: li osserviamo lavorare all'"Encyclopédie" ma li scorgiamo anche alle prese con un curioso ispettore di polizia, d'Hermery, incaricato di schedare l'intera repubblica delle lettere alla ricerca di potenziali cospiratori: possiamo cogliere i giudizi di questo detective settecentesco, carichi spesso di ammirazione letteraria ma anche di disprezzo sociale, nei riguardi di figure come d'Alembert (giudicato alieno da qualunque attività sovvertitrice), o più spesso di una ressa di personaggi minori, letterati costretti a vivere ai limiti della sopravvivenza, ricercati da debitori e poliziotti, poeti falliti, respinti dal bel mondo come d'Allainval, Chevrier e La Coste. Darnton calcola che il dieci per cento degli scrittori schedati da d'Hermery sono stati rinchiusi almeno una volta in una prigione di stato: tra questi la componente degli illuministi risultò in realtà minima. Né d'Hermery identificò l'ambiente dei 'philosophes' con il movimento dei Lumi. Il vero nemico dell'ordine e della società cui d'Hermery dava solertemente la caccia, coinvolgeva però anche loro ed era l'ateismo: l'arrogante presunzione di indicare un nuovo corso del pensiero, costruire un modello - l'albero della conoscenza ad esempio, che figura in testa all'"Encyclopédie" - tale da erigere, come illustra Darnton "un confine tra il conoscibile e l'inconoscibile, in modo da eliminare dal mondo della cultura gran parte di quello che gli uomini ritenevano sacro".
Operai e intellettuali: il libro si compone però di un ventaglio più articolato delle figure sociali dell'epoca. Nel capitolo intitolato "Un borghese riordina il suo mondo", ad esempio l'autore ci restituisce una veduta della città di Montpellier verso la fine del Settecento attraverso gli occhi di un contemporaneo. Di estrazione borghese, l'anonimo cittadino offre, in una lunga e analitica descrizione di Montpellier, autentici spaccati di vita sociale: in una colorata e chiassosa processione sfilano, secondo una severa gerarchia, i gruppi più in vista della città; le sfumature diverse dei colori rivelano l'ordine dei ceti, le guarnizioni di pizzo e di pelliccia dei magistrati contrastano con il nero opaco e il marrone dei monaci, raso seta e damasco si alternano ai più sobri tessuti di toghe e uniformi. Attraverso il variopinto linguaggio degli stati prende forma la nervatura della società cittadina: una società di notabili, dai tratti balzachiani, dominata da una commistione tra l'antica élite e i 'nouveaux riches' e dove - insiste Darnton - la componente borghese sembra omologarsi alle attività tradizionali piuttosto che assolvere a ruoli fortemente innovativi tanto propagandati dalla storiografia specie marxista: la ricchezza - si desume con chiarezza dalla "Description* - derivava dalla terra, dagli uffici, dalle 'rentes' e dai commerci, non certo da una rivoluzione industriale.
Infine, anche se il saggio è posto in apertura del volume, non potevano mancare i contadini:Darnton ce li presenta seduti in cerchio, assorti ad ascoltare le favole. Storie per la verità assai tristi, ispirate alla crudezza e alla miseria della vita nelle campagne dell'Europa contadina e di cui ci è giunta testimonianza attraverso varie raccolte: la più nota, quella che ha per titolo "Fiabe di mamma oca", risalente alla fine del Seicento. Bambini abbandonati dai loro genitori, in preda a streghe, lupi e demoni di ogni natura, soldati straccioni e affamati pronti a qualunque avventura in cambio di un tozzo di pane, principi ghiottoni che sposano povere fanciulle per il gusto di un frutto; carico di un profondo realismo più che di atmosfere idilliache, il retroterra folclorico sembra alimentarsi (il verbo è quanto mai appropriato) non tanto di fantasie di evasione quanto di aspirazioni di segno materiale. Mangiare o non mangiare: questo era il problema che i contadini dovevano affrontare sia nelle favole che nella vita quotidiana, sostiene Darnton ai limiti della tautologia, arrestandosi tuttavia sulla soglia di una vera e propria analisi sociale. Il suo interesse sembra orientarsi piuttosto, a questo proposito, verso i nebulosi, ipotetici sottofondi etnici delle fiabe europee, entro una malintesa e ambigua categoria di 'mentalité' che sicuramente Lucien Febvre si sarebbe rifiutato di sottoscrivere, ispirata come pare a una visione tribale più che etnografica, della storia di lunga durata dell'Europa: si pensi alla contrapposizione tra il patrimonio folclorico gallico, ipostatizzato nei suoi tratti frivoli e caserecci, e quello segnatamente cupo e severo della tradizione germanica.
In conclusione il soggetto invisibile che collega tra loro i differenti racconti di Darnton sembra dunque essere l'alterità: solo affrancandosi da ogni "falso senso di familiarità col passato" lo storico può avvicinarsi alla verità dell'esistenza trascorsa, contrastando la rassicurante idea che gli europei pensassero e sentissero due secoli fa esattamente come noi oggi, a parte "le parrucche e le scarpe di legno". Dal riconoscimento della natura straniera dell'oggetto storico consegue allora, in questa chiave, l'adozione di criteri etno-storici tanto più proficui nel decodificare la misteriosa sintassi di un linguaggio sociale avvertito ormai come inerte. Analogo al lessico di una tribù scomparsa, il vocabolario delle società passate sembra infatti acquistare leggibilità solo attraverso il filtro di un attento scandaglio dell'universo simbolico sottostante. E allo storico si impone per evitare il più possibile errori di trascrizione, di misurarsi con le zone più opache e incomprensibili della documentazione, nel tentativo di penetrare un sistema di significati a noi estraneo. "Quando non riusciamo a cogliere il senso di un proverbio o di una battuta, di un rito o di una poesia sappiamo di essere sulla buona strada" afferma Darnton, la cui metodologia sembra così configurarsi come una sorta di antropologia della comunicazione storica. Un'impostazione ispirata - lo sottolinea Pasta nella postfazione - alla nuova antropologia culturale nordamericana e a Geertz in particolare: da questi Darnton attinge infatti la nozione di cultura quale insieme simbolico su cui il comportamento sociale necessariamente risulta forgiarsi.
Il percorso di Darnton non sembra peraltro del tutto inedito neanche in relazione alle più recenti riflessioni storiografiche europee, su vari fronti l'interrogativo intorno alla "compatibilità linguistica" tra passato e presente è infatti da tempo al centro del dibattito: si pensi alla 'Begriffsgeschichte' di Reinhart Koselleck, volto a ridefinire l'apparato concettuale del passato, o alla semiologia dei termini storici proposta e in parte sperimentata da Duby ne "Il sogno della storia". E d'altro canto nemmeno il connubio tra storia, o storia culturale, e antropologia è del tutto nuovo: lo stesso Darnton riconosce la priorità della formula a Keith Thomas, il celebre autore del "Declino del magico". Né si può tacere a questo proposito l'apporto di uno studioso, sempre di area anglosassone, come E.P. Thompson. Procedendo inoltre dalle formule alle linee operative, categorie come quella thompsoniana dell'"eccezionale-normale" sembrano suggerire vigorose assonanze con le tematiche dell'incomunicabilità storica espresse da Darnton. Ma ancora: le strategie rituali messe in opera dai lavoranti della tipografia e culminate nel massacro dei gatti non sono, per certi versi, comprensibili alla luce della nozione, avanzata ancora da Thompson, di "economia morale"? Un concetto messo a punto da quest'ultimo per spiegare i comportamenti dei ceti subalterni investiti dalle trasformazioni sociali e in particolare dalla crisi di quel sistema paternalistico (cui fa riferimento per la Francia anche Darnton) che governava i rapporti tra padroni e dipendenti nell'Inghilterra della fine del Settecento.

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Conosci l'autore

Robert Darnton

1939

Robert Darnton (1939) è uno storico statunitense. Si laurea nel 1960 ad Harvard, dal 1972 è professore di storia presso l'Università di Princeton. Si è occupato prevalentemente di storia culturale della Francia prerivoluzionaria, con particolare attenzione alle forme di diffusione della cultura nella società dell'epoca: stampa e pubblicistica clandestina, letteratura satirica e pornografica, panflettistica. È ritenuto uno dei maggiori conoscitori della Francia del XVIII secolo, tanto da ricevere la prestigiosa nomina di chevalier de la légion d’honneur (1999) come riconoscimento per il suo lavoro. Ha ottenuto il Gutenberg prize nel 2004, mentre nel 2007 è stato nominato direttore dell'Harvard University Library. Uno dei suoi libri,...

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