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Gran bella cosa è vivere, miei cari
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Gran bella cosa è vivere, miei cari - Nazim Hikmet - copertina
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Gran bella cosa è vivere, miei cari

Descrizione


Pubblicato nel 1962, un anno prima della sua morte in esilio a Mosca, Gran bella è cosa vivere, miei cari è un romanzo la cui gestazione ha accompagnato gran parte della vita di Hikmet. Pur trattandosi di un'opera di fiction, le vicende che Hikmet racconta sono attinte dalla sua biografia: sua è la voce del narratore, un uomo morso da un cane rabbioso che attende la fine del periodo di incubazione isolato in una capanna dell'Anatolia lasciandosi andare alle intermittenze della memoria e del cuore; suo è il "materiale di vita" che si accumula nelle pagine, gli squarci sull'infanzia, i momenti di attivismo politico, le sofferenze dell'esilio; suo l'incancellabile ricordo di un'amatissima donna, Anushka, sfuggente e contesa. Ma definire questo romanzo come semplicemente autobiografico sarebbe oltre modo riduttivo. Perché scorre nelle sue pagine una forza creativa che attinge alla poesia di Hikmet e a tutta la sua opera, in un singolare procedimento che si potrebbe semmai definire "autobiografico".
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Dettagli

2010
12 ottobre 2010
262 p., Rilegato
9788804603221

Valutazioni e recensioni

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AGT
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C'è in queste pagine l'Uomo con tutta la sua forza e le sue debolezze,il coraggio e la paura,la consapevolezza delle proprie scelte politiche e di vita.C'è l'amicizia,l'amore,la malattia,la voglia di combattere e il coraggio di morire per le proprie idee.Insomma c'è la VITA intera.A tratti un pò difficile per i continui salti nel tempo,è l'opera della vita di Hikmet;e il messaggio:Gran bella cosa e vivere,miei cari!

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Voce della critica

Ahmet declina nostalgie e ricordi in attesa dei segni della rabbia, forse contratta dal morso di un cane, forse idrofobo. Nell'oscurità di una capanna, in un luogo sperduto dell'Anatolia dove l'uomo si rifugia, vittima della persecuzione del regime turco, il rombo del motore di una pompa è un cuore rivelatore di ore e memorie di un tempo in cui luoghi e personaggi si alternano vorticosi tra presente e passato, così come i piani temporali della narrazione. Ahmet s'intende bene di distacchi: dalla Turchia in fuga verso Mosca, dall'amata Anuška la cui "candida mano tornita" tiene ben stretta "per la paura immotivata di perderla all'improvviso", dagli amici Ismail, Kerim e Ziya, i cui corpi martoriati dalle torture si conficcano come spilli negli occhi del lettore. Quando il dolore sembra sciogliersi al calore di un fuoco acceso nella radura di un bosco russo, quando l'attesa febbrile dei segni dell'idrofobia si arresta sui 36,8 della temperatura di Ahmet, arriva lui, Nazim Hikmet, a presentarci i suoi ospiti, i personaggi della storia, a dirci di come non siano invecchiati, mentre lui, sulla sessantina, si augura di vivere cinque anni ancora (siamo a Mosca nel '62, morirà un anno dopo), lasciando a Neriman, tenera e devota moglie di Ismail, il compito di esclamare "Gran bella cosa è vivere, miei cari!". Si materializza così la voce narrante che, in terza persona, insegue a ritmo serrato quella in prima persona del protagonista Ahmet, in un gioco di specchi che fin dalla prima pagina irrompe senza confondere il lettore. E se il fascino di una prosa ritmata recitata a due voci coinvolge fino all'ultima pagina, lasciando in sospeso i fili sottili di un' incomprensibile angoscia, viene in soccorso, a riannodarli al senso di un romanzo autobiografico, la postfazione di Giampiero Bellingeri, che nel sottolineare la continua autocitazione testuale dell'autore rilegge il romanzo in chiave "autobibliografica". Seguendo nella postfazione il percorso critico di analisi intratestuale, si comprende il senso d'angoscia rimasto in sospeso quando "Attraverso lo sguardo di Ahmet, vediamo filtrare la luce che veicola e rischiara il pulviscolo dei nostri pensieri. Frammentari, raggranellati, in movimento. Travagliati nell'atmosfera dell'anima commisurata su diversa, personalissima clessidra, che girata e rigirata riassegna vita alle nostre fatali scritture". Diventa così quasi un obbligo leggere, o rileggere, l'opera omnia di Hikmet, dopo aver convenuto con i suoi ospiti che: "Gran bella cosa è vivere, miei cari!".
Paola Russo

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Conosci l'autore

Nazim Hikmet

1902, Salonicco

Nazim Hikmet è stato un poeta turco. Soggiornò a Mosca dal 1921 al 1923 e, una seconda volta, dal 1923 al 1928, entrando in contatto con la cultura sovietica di avanguardia. Tornato in patria, nel 1938 fu condannato a 28 anni di carcere per opposizione alla dittatura di Kemal Atatürk. Nel 1950 fu liberato e si trasferì nell’Unione Sovietica, dove morì. Dotato di una profonda conoscenza sia della cultura orientale sia di quella occidentale, Hikmet usò modi espressivi assai vari, ma sempre in una lingua semplice e diretta, nell’intento di comunicare a tutti, con i suoi versi, la ricchezza della sua esperienza umana e politica e la tragicità della condizione storica della sua gente. Della sua vasta produzione lirica ricordiamo...

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