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Grammatica e glottodidattica
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1992
1 aprile 1992
128 p.
9788871442662

Voce della critica

TITONE, RENZO, Grammatica e glottodidattica, Armando, 1992
NUNAN, DAVID (A CURA DI), Collaborative Language Learning and Teaching, Cambridge University Press, 1992
CORNO, DARIO (A CURA DI) / POZZO, GABRIELLA (A CURA DI), Mente, linguaggio, apprendimento, La Nuova Italia, 1991
ALLWRIGHT, DICK / BAILEY, KATHLEEN M., Focus on the Language Classroom, Cambridge University Press, 1991
recensione di Siani, C., L'Indice 1993, n. 6

Negli ultimi venti anni gli insegnanti di lingue italiani hanno attraversato diverse stagioni glottodidattiche. Uscendo dal lungo inverno del sistema "grammatica-traduzione", consolidato già ai primi dell'Ottocento e per noi ancora prassi negli anni sessanta, in un'unica prospettiva essi dovevano imparare che cosa s'intende per metodo diretto, audio-orale, audiovisivo; assaporare il primaverile rinnovamento del "situazionale" sulla scorta dell'allora fortunato Wanda D'Addio Colosimo, "Lingua straniera e comunicazione. Problemi di glottodidaitica" (Zanichelli, Bologna 1974); scoprire la linguistica, assurta a disciplina principe nella professione; e approdare all'estivo ottimismo dell'approccio "nozional-funzionale-comunicativo" nei pieni anni ottanta. Forse tale attraversamento era più entusiastico che critico, ma consentiva all'insegnante avveduto di compensare le deficienze della sua formazione universitaria.
Alle soglie degli anni novanta, l'entusiasmo lascia il posto a una salutare insoddisfazione per la sperimentata parzialità dei metodi. Ed ecco che le opere della Cambridge U. P. qui presentate mettono l'insegnante di fronte a tendenze che cercano appunto l'alternativa. Il loro assunto è elementare: ciò che determina l'apprendimento non è l'adozione di un metodo aggiornato rispetto a uno tradizionale, ma una migliore comprensione delle dinamiche educative. Bisogna dunque entrare nelle classi e osservare ciò che effettivamente succede quando discenti e docente interagiscono.
Nata dalla necessità di formare gli insegnanti, tale direzione si è sviluppata oltreoceano dagli anni sessanta in poi, via via codificandosi in procedimenti strettamente controllati-come si deduce dalle numerose griglie di osservazione riportate in appendice a Allwright-Bailey. L'indagine glottodidattica diviene dunque attività "sul campo", e come tale è stata avvicinata alla ricerca etnografica, in quanto il ricercatore si sforza di documentare e capire il comportamento di un gruppo di persone: "allo scopo di comprendere quello che accade nella classe, il ricercatore deve tentare di giungere al significato che gli stessi partecipanti danno agli accadimenti" di cui sono protagonisti (Allwright-Bailey). La 'classroom research' si avvale perciò dell'analisi di dati relativi a lezioni reali: l'appunto manoscritto, la videoregistrazione, l'intervista ai soggetti interessati, il diario didattico di docenti e discenti, e così via. Esistono concetti, procedimenti e regole, e difficoltà da sormontare, per la raccolta del dati; e su tutto questo si diffonde il saggio di Allwright e Bailey. (Sebbene tale prospettiva venga divulgata solo ora in Italia, non va dimenticato che un accenno a tale tipo di ricerca veniva già nel 1983 con "L'inglese a scuola. Radiografia di due classi", di Maria Sticchi Damiani [Milella, Lecce 1983], che riportava lezioni audioregistrate, pur non attardandosi a interpretare).
Le dinamiche sottoposte a osservazione includono non solo l'azione del docente sul discente e viceversa, ma anche quella del discente sul discente e del docente sul docente. In questa angolazione interviene il volume collettaneo curato da Nunan. Come concetto glottodidattico, l'insegnamento/apprendimento "collaborativo" si ispira a una visione sociale e non competitiva dell'apprendimento linguistico; e ha acquistato rilevanza nell'ultimo decennio, per quanto si nutra di tradizioni pedagogiche consolidate, come Nunan delinea nell'introduzione. "Collaborative learning" non è semplicemente il "lavoro di gruppo", ma è processo che investe l'intero ambiente d'apprendimento (disposizione dell'arredo in classe, per esempio; uso dell'equipaggiamento didattico, servizio d'ordine di vario tipo, e molto altro). E "collaborative teaching" non è semplice compresenza di insegnanti, ma un concorrere di figure diverse (alcune, come i 'curriculum specialists', non istituzionali nel nostro panorama scolastico), in azioni concertate in cui docenti e discenti apprendano l'uno dall'altro. Tale prospettiva contempla un'estensione e ridefinizione dei ruoli di discenti, docenti e ricercatori (concezione non unidirezionale del processo educativo espressa anche in un volume italiano, "Conoscenza come educazione", a cura di Paolo Perticari, Angeli, Milano 1992; cfr. "L'Indice", n.2, 1993,p.49).
Ebbene, e non sembri paradossale, dobbiamo chiederci ora: tutto questo c'entra con la didattica, o sarà un nuovo limbo per ricercatori? C'entra nella misura in cui comporti una ricaduta nel lavoro dell'insegnante. Una delle linee di forza in queste nuove tendenze è appunto quella che spinge il docente a farsi egli stesso "ricercatore", interrogandosi, rilevando dati, interpretandoli e agendo di conseguenza. E ciò che viene chiamato 'action research' o, nella non felice traslitterazione italiana, "ricerca-azione": cioè, come spiega il Webster, "l'uso di tecniche della ricerca psicologica e sociale volte a individuare i problemi di un gruppo o di una comunità, sposate alla partecipazione attiva dell'osservatore stesso nell'impegno del gruppo per risolvere quei problemi".
L'insegnante di lingue che per privato costume fa tutto questo anche senza essere chiamato, secondo il lessico montante, 'reflective teacher', si ritrova fra l'altro a dover fare i conti con l'insegnamento della grammatica, bandito all'affermarsi dell'"approccio comunicativo", e ora rientrato quale vasta area problematica dell'insegnamento linguistico. Il libro di Renzo Titone, massimo esperto italiano di glottodidattica, chiarisce come il ritorno alla grammatica non sia un ritorno all'antico ma un trapianto su nuove impostazioni metodologiche: "il contenuto dei corsi di lingua non si distribuisce più secondo lo schema sistemico tradizionale proprio della gramnnatica logico-filologica (fonologia, morfologia, sintassi), ma si innesta sulla struttura dinamica dell'atto linguistico, visto come processo inglobante una componente concettuale (significati grammaticali e lessicali), una componente funzionale (le funzioni comunicative emergenti nelle varie situazioni di scambio sociale) e una componente formale (le forme linguistiche specifiche di ciascuna lingua)".
Ponendosi il problema del significato, Corno e Pozzo dal canto loro collegano la concezione grammaticale dell'apprendimento linguistico allo strutturalismo ("Secondo l'impostazione strutturalista, il significato è faccenda di 'codici', cioè di regole: in questo senso imparare una lingua è soprattutto imparare la 'grammatica' di questa lingua"), e vi contrappongono l'impostazione cognitivista: "... il significato è questione di 'esperienze', e cioè di modelli o esempi 'ricostruiti': imparare una lingua è interiorizzare 'modelli di comportamento' che la rappresentano". Da queste pur brevi notazioni si intuisce quanto le scienze cognitive abbiano contribuito al rinnovamento delle prospettive glottodidattiche, in linea con lo spostarsi dell'asse verso una Pedagogia centrata sul discente anziché sul docente, sul processo anziché sul prodotto, sulla scoperta anziché sull'apprendimento di regole fisse. Se i due ultimi volumi appariranno in larga parte teorici, e talora irti di tecnicismi, l'insegnante non si senta frustrato, n‚ ceda al rifiuto. Non sempre, infatti, la teoria deve indottrinarlo. Talora deve semplicemente fornirgli la spiegazione su base scientifica di quanto egli percepisce e fa per via intuitiva. Esempio. Negli anni venti un maestro ex contadino, alle prese con bimbetti di prima elementare in un villaggio di capanne dell'agro romano, si tormentava con l'espressione scritta, perché "i miei alunni non si erano accorti che fra due o più parole può essere nesso logico, espressione di un pensiero, enunciazione d'un fatto". Una mattina, dopo l'appello, ebbe "l'ispirazione" di scrivere alla lavagna "Assunta non è venuta", e la ventura di assistere al concentrarsi dell'attenzione degli scolari su quella frase, al loro compitarla sottovoce, e verificarla guardando il posto vuoto, e infine esplodere all'accorgersi che diceva il vero: "La meraviglia, la sorpresa, la gioia, la rivelazione di un gran segreto" (Felice Socciarelli, "Scuola e vita a Mezzaselva", La Scuola, Brescia 1962 pp. 116-17). Non c'è forse, in questa pagina di diario d'un 'exploratory teacher' 'ante litteram', il germe di quella che cinquant'anni dopo avremmo fondatamente chiamato dimensione "comunicativa" dell'insegnamento linguistico?

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