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L'aspetto più noto del lavoro di Gordon Matta-Clark è in quelle immagini depositate al Canadian Centre for Architecture di Montreal che mostrano le incisioni praticate in edifici dismessi. Tagli, come quelli che faceva nel ghiaccio Oppenheim (con il quale l'artista newyorkese ha lavorato). Con la differenza che i tagli negli edifici vanno dritti contro l'acquietante senso di privacy dell'abitazione media americana. Incisioni a volte semplici, altre volte giocate con molta abilità sulle compenetrazioni di solidi, su slittamenti e intersezioni di piani. Producendo situazioni perturbanti che rovesciano le categorie di interno e esterno con le quali l'architettura ha sempre lavorato, in quanto atti che offrono un involucro all'abitare secondo una matrice materna che circonda, ingloba, separa. In Matta-Clark è il contrario. Le incisioni scavano, rendono palese il vuoto, mettono a dura prova il senso comune architettonico mescolando pratiche artistiche differenti: architettura, disegno, scultura, performance, documentazione fotografica e filmica che diventa essa stessa opera d'arte a mezzo di collage, assemblaggi, montaggi. Antiaccademico viscerale, Matta-Clark posiziona negli anni sessanta posture e convinzioni proprie dell'avanguardia. È antipatrimonialista, quanto la prima modernità riusciva a esserlo. Recupera Duchamp e lo posiziona su temi ambientali, antimilitaristi, anarchici. Il catalogo della mostra tenuta a Santa Maria della Scala, a Siena tra giugno e ottobre di quest'anno, offre al pubblico italiano molti materiali che possono finalmente sostenere quello che è un irruente ritorno di attenzione per il giovane protagonista della scena artistica newyorkese degli anni sessanta e settanta. Cristina Bianchetti
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