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Cerca di comprendere la dialettica come principio di azione, chiedendosi perché nell’incessante dialettica del reale la prassi che rovescia non si rovesci a sua volta. La storia è progressivo adeguamento dell’esperienza all’idea: nella storia l’unica sacrificata è l’idea che l’uomo vorrebbe riflettere nello specchio dell’esperienza. «La prassi si rovescia» è il moto della storia, soggetta alla spinta formativa dell’uomo, non fermarsi alla teoria ma interrogare la vita (Vico): l’azione può rovesciare sé stessa, divenire rampa di lancio verso un accesso non visibile? La prassi ha limiti intrinseci per cui la chiave del problema è nell’individuo quale paradosso vita-morte. Siamo alla Provvidenza vichiana: «la legge di necessità per la quale l’individuo deve arrivare all’estremo della sua esperienza fino alla catastrofe. Quando si è scesi per tutto il piano della caduta, in quest’ultimo punto si ricrea l’esperienza di morte da cui nasce il pensiero umano, il mondo umano. Attraverso la catastrofe si ricreano le condizioni di morte che permettono di riattingere le tre idee centrali di Vico, cioè il pensare umanamente». Nietzsche è qui vicino. Ma per C. «quando la morte chiude da tutti i lati l’orizzonte dell’individuo»egli ritrova se stesso invocando Dio. Rovesciando, la prassi s’è rovesciata; storicamente la storia si è rovesciata; nell’unico limite dell’individuo che con l’azione alimenta il movimento dell’esperienza, concorrendo alla faticosa costruzione della coscienza come continuità e durata. In questa processualità, si registra una costante sperequazione tra individuo e storia, perché per un verso l’individuo, aspirando e tenendo a superare il finito, eccede la storia: per altro verso la storia non risponde al pressante appello infinito dell’uomo. Il pericolo è la stretta riduzionista dove «la pianificazione è soltanto un nome per lo sbarramento del futuro» Heidegger.
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