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Più che una ricostruzione storica a tutto tondo della figura di Giovanni Paolo II, questa monografia di Daniele Menozzi, insegnante di storia contemporanea presso la Scuola Normale di Pisa e noto specialista dei rapporti tra cristianesimo e società moderna e contemporanea,, vorrebbe essere un invito alla riflessione. Per rendere poi l'invito convincente, viene accompagnato da una serie di attente e circostanziate argomentazioni, volte a restituire questo personaggio carismatico a una lettura più serena e oggettiva, sì da coglierne la complessità e le diverse, talora contraddittorie, sfumature. In tempi normali non dovrebbe sussistere, quanto meno nel settore scientifico, la necessità di ricorrere a simili appelli per ricordare agli esponenti del mondo culturale italiano che la storia non dovrebbe schierarsi tanto repentinamente né tanto facilmente divenire agiografia. Sull'onda di un assalto mediatico di ampie proporzioni, ci si è spesso lasciati trascinare in un generalizzato delirio celebrativo che ha inevitabilmente annacquato ogni possibile valutazione sulla reale portata storica del pontificato più lungo del Novecento.
La scelta di Menozzi consiste nel soffermarsi su quattro temi fondamentali, dei quali il primo definisce forse al meglio i termini della questione. Dopo un'introduzione affilata sulla situazione degli studi, il primo capitolo morde il problema più importante da un punto di vista generale: il confronto con il moderno. Rispetto a una diffusa tendenza a operare una valutazione complessiva del precedente pontificato, misurando la sua applicazione dei dettami del Vaticano II (il che implica di fatto un'esegesi di partenza: che cosa avrebbe dovuto o non avrebbe dovuto fare in tale prospettiva), l'autore individua nella questione del difficile rapporto con la modernità il focus più suscettibile di delimitare il ruolo storico di Giovanni Paolo II. Infatti, la sfida posta dalla modernità ha accompagnato la chiesa cattolica, nel suo essere istituzione storica, dal Sillabo di Pio IX (1864) sino a oggi, rivelandosi in questo senso come un fattore centrale (più che il Vaticano II, che anzi può essere compreso in questa prospettiva) di comprensione del suo agire. Spesso il giudizio ecclesiastico in merito è coinciso con la stigmatizzazione dei mali odierni, fatti risalire di volta in volta alla Riforma o all'Illuminismo, ma si è anche trasformato in un rapporto complesso e oscillante con temi quali la secolarizzazione, la democrazia e i diritti umani. Come si è collocata la chiesa tra Otto e Novecento, e nella fattispecie papa Wojtyla, rispetto a questi?
Nel secondo capitolo viene analizzato nel dettaglio un argomento analogo, la guerra: si parte dalla teoria di De Maistre che in essa scorgeva un castigo divino inviato agli umani per il loro allontanamento dalla retta dottrina, per giungere alla ripulsa, da parte di Wojtyla, del nazionalismo (fomentatore di dispute inter-intrastatali) e della giustificazione religiosa a qualsiasi genere di ostilità bellica. Il terzo capitolo si sofferma poi sulla professio fidei (richiesta al concilio di Trento per l'accesso a determinate cariche episcopali), che, da formula contenente le indiscutibili verità di fede, è divenuta nel tempo (punto d'arrivo: Ad tuendam fidem, 1998) un criterio selettivo di adesione all'istituzione: "Pubblica adesione interiore alle verità che, pur non trovandosi nella rivelazione, in qualsiasi momento e su qualsiasi argomento possano venire dichiarate con un atto definitivo del magistero connesse con la rivelazione". Sembrerà una questione secondaria, ma tale sviluppo avrà come risultato quello di soffocare sul nascere il dibattito teologico interno, determinando un irrigidimento dottrinale senza precedenti e un uso disciplinare della professione di fede.
L'ultimo capitolo prende in esame la questione della purificazione della memoria, che, come sappiamo, ha sollevato tante polemiche e suscitato tanti tentativi di spiegazione. Tra i conservatori, per cui tale operazione sarebbe puramente strategica (nel manifestare un'esemplarità morale rafforzante l'autorevolezza vaticana), i progressisti, che interpretano tale gesto in chiave puramente profetica e spirituale, e infine i laici, che vi scorgono una banale ripulitura di facciata, Menozzi tenta di nuovo una lettura più propriamente storica. Si tratterebbe in sintesi di un tentativo di ridefinire i rapporti tra religione e politica per il superamento di contraddizioni gravi tra passato e presente. Si vuole evitare che la memoria possa creare fratture tra chiesa e mondo attuale, e per farlo la si purifica pubblicamente.
Chi voglia riflettere in modo serio sulla rilevanza storica del pontificato di Giovanni Paolo II dovrà immancabilmente leggere questo libro.
Fabrizio Vecoli
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