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Bel libro! Piacevole, scorrevole, facile da seguire. Un bel ritratto di questo bravissimo poeta; sarà davvero stato così Rimbaud "uomo"? Non importa saperlo, il libro va comunque letto.
Rimbaud si starà come minimo rivoltando nella tomba dopo la pubblicazione di questa banalità, che usa ossimori triti e ritriti come "silenzio assordante" ecc.
Mi unisco alle parole degli altri lettori, sorpreso dall'elegante e adulta maestria di questo giovane autore. Mi sono avvicinato al libro per merito di Rimbaud, che ho ritrovato nelle pagine di Besson, e pur non abbandonandomi, col girare della carta ho scoperto l'autore, così padrone del linguaggio che non abbisogna di ostentarlo. L'attaccamento alla storia cresce di pari passo, con una preventivata angustia nel petto che si sfoga nel finale: commovente come le parole di Rimbaud, algido come i suoi occhi e la pioggia delle sue terre. Bravo Besson.
Recensioni
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"Tornerò con membra di ferro pelle scura occhi furenti…". Nonostante questi versi iniziali il libro non narra del poeta ma del Rimbaud malato terminale. Besson fa parlare Isabelle la sorella di Arthur che lo assiste nei suoi ultimi mesi di vita alla fattoria di famiglia di Roche nelle Ardenne. È lei la protagonista e forse sarebbe stato più equo titolare "I giorni fragili di Isabelle Rimbaud" o come nella versione originale semplicemente Les jours fragiles. Isabelle non ha nulla della poetessa maledetta anzi è la sorella "benedetta". Bigotta zitella devota fino all'assurdo. "Nella nostra casa gli uomini non rimangono" dice Isabelle. In effetti il padre era scappato da tempo e Arthur lo aveva imitato a sedici anni. Era fuggito dalle Ardenne per Parigi Londra l'assenzio la poesia visionaria le celebri pistolettate di Verlaine. Poi era fuggito anche da quella vita per la parentesi da ramingo e commerciante di caffè in Nordafrica. Il "diario" di Isabelle inizia dal ritorno dall'Africa. Arthur è malato di cancro e gli amputano una gamba a Marsiglia. Isabelle descrive la lenta agonia la spola tra l'ospedale marsigliese e la fattoria di Roche dove lei e Arthur respirano i miasmi di una famiglia allo sfascio di una "mamma flagello" intransigente e distante fino all'ultimo. L'epilogo si consuma in un corteo funebre clandestino e surreale. Rimbaud muore a trentasette anni per la seconda volta. La prima era morto come poeta… a ventuno anni. L'opera sfiora la superficie delle cose in contrasto con quello che ci si potrebbe aspettare dal personaggio. I refrain sulla sofferenza atroce sull'abnegazione della sorella sul rapporto assurdo madre-figli non penetrano – volutamente? – gli abissi esplorati dal "poeta bambino".
Federico Jahier
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