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Giacomo Leopardi e la letteratura italiana - Giulio Bollati - copertina
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Giacomo Leopardi e la letteratura italiana - Giulio Bollati - copertina
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Descrizione


Nel 1827 usciva per i tipi dell'editore Stella a Milano il volume dedicato alla "Prosa" della "Crestomazia italiana" di Giacomo Leopardi (il secondo volume, dedicato alla poesia, uscirà un anno dopo). A lungo trascurata dagli studi leopardiani, questa antologia per generi e temi della letteratura italiana solo adesso sembra richiamare la dovuta attenzione degli studiosi, dopo l'edizione einaudiana del 1968. In particolare, la cura del volume dedicato alla prosa fu allora affidata a Giulio Bollati, il quale, con la lunga introduzione qui riproposta, fornì un testo che resta tutt'ora di riferimento.
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Dettagli

1998
Tascabile
184 p.
9788833911205

Voce della critica


recensioni di Turchetta, G. L'Indice del 1999, n. 02

Fra le molte iniziative editoriali del bicentenario leopardiano, un posto di rispetto dovrebbe toccare al felice ritorno di un piccolo classico degli studi leopardiani, il lungo saggio scritto da Giulio Bollati come introduzione alla riedizione Einaudi (1968) della Crestomazia italiana. La prosa, l’antologia curata da Leopardi per l’editore milanese Stella nel 1827.Lo studio di Bollati viene ora ristampato opportunamente come volume autonomo, col titolo Giacomo Leopardi e la letteratura italiana. Purtroppo, oltre a questo saggio, al prezioso volume L’italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione (Einaudi, 1983, 19962) e a poco altro, Giulio Bollati ci ha lasciato troppo rari campioni della sua prosa, esemplare per l’equilibrio di eleganza, densità concettuale e chiarezza, sempre sorrette da una rigorosa informazione storica. Con l’introduzione alla Crestomazia Bollati riusciva inoltre a riscoprire un’opera quasi dimenticata di un grande classico indagato da legioni di studiosi, ridando il giusto peso a un lavoro apparentemente venale (la compilazione di un’antologia), che si rivelava invece parte organica di un progetto, in una fase strategica della carriera del poeta. Leopardi prepara infatti la Crestomazia fra l’autunno del 1826 e l’estate del 1827; nello stesso periodo corregge le bozze delle Operette morali, uscite nel giugno 1827.In questo "esaltato fervore prosastico" la Crestomazia è l’ultimo ma non il minore capitolo "di un programma della prosa lungamente preparato nello Zibaldone e la cui attuazione occupa quasi per intero gli anni tra il 1824 e il 1827". Ma dedicarsi alla prosa aveva allora profonde implicazioni militanti, che Leopardi consapevolmente perseguiva. Significava anzitutto impegnarsi nello sforzo di creare una lingua moderna, tesa a riavvicinare le parole e le cose, da secoli troppo lontane nella tradizione italiana. Di più: investire energie nella costruzione di un linguaggio razionale e concreto significava partecipare alla formazione di una coscienza nazionale, prendere parte cioè a una battaglia politica. Ma l’impegno prosastico di Leopardi, in quanto consapevole intervento pubblico, era anche il segno di un rapporto provvisoriamente non conflittuale con l’intellighentsija liberale: egli "non è ancora, o non sa di esserlo, un ribelle e un oppositore". Proprio la fredda accoglienza critica riservata all’antologia e alle Operette segna però la fine di un equilibrio del resto precario. Leopardi è deluso e amaramente sorpreso, perché si aspettava che il suo impegno venisse apprezzato e lodato. La sua personale "bancarotta del patriottismo" è, all’altezza del 1827, già irrimediabile e definitiva. Si aggiunga inoltre che, in quello stesso giugno 1827, un travolgente successo nazionale arrideva addirittura a un romanzo, a un’opera cioè di genere minore, se non proprio ignobile: stiamo parlando, naturalmente, dei Promessi Sposi.

Certo la Crestomazia pare fatta apposta per scontentare tutti, classicisti e romantici. Ma ciò non ne smentisce l’intenzione pedagogica, testimoniata anche dalla consapevole libertà filologica con cui Leopardi pubblica i testi, modernizzandone il dettato e spesso tagliandoli drasticamente, con un editing spregiudicato, di cui Bollati rende conto nell’appendice. Ma la novità e l’originalità della Crestomazia erano soprattutto nell’impianto complessivo, che cassava quasi tutto l’aureo Trecento, privilegiando spudoratamente il Cinquecento e l’Illuminismo, non senza un ricorso assai abbondante, e per l’epoca scandaloso, al Seicento, tendenziosamente spinto nella scia dell’amatissimo Galileo. Con la Crestomazia inoltre Leopardi proponeva un quadro complessivo della prosa letteraria italiana, ma rifiutando di disporlo cronologicamente: si può immaginare con quale entusiasmo da parte di critici dediti al culto dogmatico della Storia. La struttura per generi dell’antologia si rifaceva sì ad antiche partizioni retoriche, ma soprattutto guardava a un modello francese di straordinario successo, le Leçons de littérature et de morale (1804) di Jean-François Noël e François-Marie-Joseph Delaplace. Le Leçons inaugurano l’antologia "moderna", perché non citano più solo testi compiuti, ma si prendono la libertà di riportare passi scelti.

Bollati sottolinea instancabilmente la problematicità di qualsiasi selezione volta a mettere in opera un canone. Ma il cuore del suo discorso, in questo saggio così come nell’Italiano, sta nell’attenzione (a tratti quasi un’ossessione) rivolta al problema della "modernità".Paradossalmente, la Crestomazia di Leopardi si propone di essere moderna proprio in forza di un meditato, programmatico anacronismo. Leopardi vorrebbe che i testi scelti agissero direttamente sulla realtà presente: ma così rivela, con titanico candore, l’inattualità del proprio umanesimo integrale, del proprio invito all’"eroismo", a una rigorosa etica dell’autenticità, che era in rotta di collisione con i valori fondativi della modernità capitalistica (l’"utile", il "funzionale"). Bollati ci fa vedere quanto l’atteggiamento di Leopardi fosse legato a un’ideologia aristocratica. Ma allo stesso tempo ci fa capire come quell’idea di moderno, e quell’utopia, secondo cui "il destino del genere umano si gioca sui modi del rapporto uomo-natura", sia stata in grado, proprio grazie alla sua inattualità, di scavalcare il tempo, tornando a noi miracolosamente carica di futuro.

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