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La ghisa delle cure e altri scritti (1927-1989) - Romano Bilenchi - copertina
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La ghisa delle cure e altri scritti (1927-1989) - Romano Bilenchi - copertina

Dettagli

1997
2 gennaio 2001
150 p.
9788879231688

Voce della critica


recensione di Scarpa, D., L'Indice 1998, n. 6

"La ghisa delle Cure" contiene racconti, cronache giornalistiche, articoli letterari e politici, note autobiografiche. Ritroviamo nei testi più antichi il tono di Bilenchi allo stato nascente: duro, pulito, primaverile come una torre di pietra urtata dalla brezza. Oppure, negli articoli che testimoniano la fede nel cosiddetto "fascismo di sinistra", il suo piglio spicciativo e frontale e uno stile-rasoio dall'occhio limpido e sprezzante e dalla fronte aggrottata.
I giovani fascisti che avevano vent'anni nel 1930 erano dei rivoluzionari attaccati alla propria terra ma desiderosi di conoscere (e, ahiloro, di conquistare) il mondo, ferocemente antiborghesi e soprattutto mussoliniani. Bilenchi ha raccontato in "Amici" la disillusione to-tale seguita all'incontro con Mussolini, la scoperta della sua vanità e della sua inconsistenza. Fu fascista ancora per qualche anno nella speranza di poter dare battaglia dall'interno del movimento, magari inoculandogli i germi eretici del bolscevismo, dottrina alla quale molti giovani fascisti guardavano con aperta simpatia. Furono la Guerra di Spagna prima e le leggi razziali poi a togliere di mezzo le illusioni residue. I pochi articoli qui raccolti bastano a ripercorrere questo cammino, che si conclude con un Bilenchi che di fatto si congeda dal partito scrivendo nel 1937 ai camerati di "Critica fascista" una lettera in cui li invita a non sottovalutare il pericolo delle tesi esposte da Giulio Cogni nei saggi "Il razzismo" e "I valori della stirpe italiana": razzismo che per lui equivale né più né meno che a un "ritorno all'età delle caverne".
Se Mussolini fu una grande delusione, Bilenchi ebbe sempre stima per la persona di Palmiro Togliatti, nonostante il capo del Pci avesse peccato quanto meno di omissione e di non intervento durante gli attacchi politici che portarono alla chiusura del "Nuovo Corriere" di Firenze. Questo giornale, diretto da Bilenchi tra il '48 e il '56, fu certo il più libero e il meglio scritto dell'immediato dopoguerra. Tanto libero che nell'estate 1956 Bilenchi poté rivendicare i morti delle rivolte operaie antistaliniste di Poznan' come "morti nostri",e terminare il suo breve articolo di fondo affermando che "se dall'Est venissero prove che le cose sono in parte sbagliate, tutte sbagliate, noi affermeremmo tranquillamente che quell'esempio, quelle esperienze di socialismo non vanno bene, faremmo di tutto per correggerne gli errori, e se questo fosse ancora infruttuoso cercheremmo altre vie per creare il socialismo in casa nostra. Non desisteremmo dal cercarle". Fu il discorso antistalinista e socialista più tempestivo e schietto che si fosse mai ascoltato in Italia. Ma "Il Nuovo Corriere" dovette chiudere nel giro di un mese, e l'anno dopo Bilenchi fu costretto ad abbandonare il Pci. Andò a dirigere le pagine culturali della "Nazione" e per quindici anni non scrisse nulla. Nel 1972 pubblicò "Il bottone di Stalingrado" e chiese di riavere la tessera comunista. Dentro o fuori del partito, non disse mai parola contro Togliatti, così come negli anni del silenzio non aveva mai dato sfogo all'odio dell'ex. L'odio e il desiderio di rivalsa, del resto, erano passioni che non gli appartenevano.

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Conosci l'autore

Romano Bilenchi

(Colle di Val d’Elsa, Siena, 1909 - Firenze 1989) scrittore italiano. Collaboratore del «Selvaggio» di M. Maccari e direttore (dal 1948 al 1956) del quotidiano «Il Nuovo Corriere», si è imposto come narratore con libri di rigoroso e limpido stile. Oltrepassando i moduli della prosa d’arte, il dettato delle esemplari storie di paese e di periferia create da questo «osservatore militante» (G. Contini) costruisce un perfetto equilibrio di ricordo, fantasia e attento sguardo sulle cose: Il capofabbrica (1935), Anna e Bruno, e altri racconti (1938), Conservatorio di Santa Teresa (1940), La siccità (1941), Dino e altri racconti (1942), Mio cugino Andrea, (1943), Racconti (1958), Il bottone di Stalingrado (1972, premio Viareggio), il volume di ricordi Amici. Vittorini, Rosai e altri incontri (1976...

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