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Leggendo il bello e “leggero” saggio di Stefano Laffi, non si può fare a meno di notarne l’attualità eccezionale e la “misura” che un tema del genere poteva far perdere, in teoria. L’Autore, pur giovane - 34 anni - riesce a controllare (forte di una bella preparazione) gli argomenti che tratta e a proporli con la massima lucidità. La sua costruzione parte da analisi economiche dell’attualità, delle regole del mercato, per approdare alle vittime dei meccanismi “scientifici” di previsione delle vendite, fino a trovare nei giovani (dai bambini ai trentenni) le mete ideali verso cui il mercato mostra tutto il suo fagocitante cinismo. E questo sarebbe niente se il prezzo pagato non fosse la perdita della progettualità e delle mete giovanili, in una parola dell’identità (che porta con sé, inevitabilmente, la scomparsa del talento). Ecco come si spiegano e non sembrano più straordinari alcuni fenomeni, come alcuni fatti di cronaca, che ci avevano assai meravigliato. I giovani ridotti ad attori programmati del consumo, hanno scarsissimo spazio (e nessun tempo) per ribellarsi e scegliere strade diverse da quelle per loro già calcolate (Orwell aveva perfettamente ragione, vedi “1984”), divenendo vittima dei consumi, della società economica e di se stessi. L’esperienza, le occasioni, la vita insomma, vengono vissute virtualmente, attraverso una serie di mediatori che con l’andare del tempo acquistano la forma di originali. L’Autore molto lucidamente evidenzia come abbia poco senso paragonare il passato all’oggi per quelle generazioni che non l’hanno mai vissuto e sono nate e cresciute nella nostra epoca. Però, infine, suggerisce anche delle strade, frutto più della sua positiva visione delle cose che di una reale fattibilità: al potere onnivoro del mercato dei consumi non ci sarà mai antidoto possibile. Da leggere, davvero!
Recensioni
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recensioni di Zanetti, M. L'Indice del 2000, n. 06
Dilazione delle scelte e dunque slittamento dei tempi di ingresso nella vita adulta, apatica assenza di progettualità e debolezza dei riferimenti etico-ideali - queste le caratteristiche dell'attuale condizione giovanile analizzate da Laffi.
Il giovane è in primo luogo "ostaggio dell'economia", ovvero è l'inevitabile esito generazionale dell'affermarsi del mercato sulle altre istituzioni, del trionfo del paradigma economico nell'orientare l'azione. Infatti se il giovane si perde - anzi, come direbbe l'autore, si disperde - nel presente, negandosi un vero progetto di vita che lo proietterebbe finalmente e definitivamente nella dimensione adulta dell'assunzione di responsabilità, egli non fa nient'altro che agire seguendo i principi della razionalità economica, che è inevitabilmente miope, orientata al breve termine, e che lo induce ad abbandonarsi alle mille lusinghe del consumo, a indugiare oltre misura nella comoda condizione di studente o a rifugiarsi, se necessario, nelle scelte sempre reversibili del lavoro precario.
Ma è in particolare quella di consumatore la dimensione esistenziale per eccellenza del giovane contemporaneo. Perché gli adulti cercano di compensare attraverso il denaro e i beni materiali il loro fallimento pedagogico nella comunicazione di valori, di modelli, di stimoli ed esperienze. Questa spiegazione, sostiene l'autore, è solo parziale e rimanda a ragioni ben più profonde, strutturali, che rispondono in ultima analisi a una fondamentale esigenza di riproduzione di un'economia capitalista afflitta da iperproduzione congenita e quindi obbligata, per autoperpetuarsi, a stimolare artificiosamente e in ogni modo i consumi.
E nella divisione sociale del tempo sono i giovani a disporne in modo privilegiato per il consumo: gli adulti sono sempre più assorbiti dal tempo del lavoro; gli anziani disporrebbero di tempo e, relativamente, di denaro, ma mancano della necessaria apertura alle novità e delle competenze per fruire della nuova generazione di merci, sature di tecnologia.
Il tradizionale conflitto tra giovani e adulti si dissolve così in un comodo quanto deleterio compromesso, la separazione generazionale tra tempo di produzione, monopolio degli adulti, e tempo del consumo, concesso ai giovani. Questi ultimi risultano le principali vittime di questo equilibrio, in quanto immolano sull'altare del consumismo la loro più profonda essenza, ovvero la loro creatività e la loro fantasia. La loro personalità risulta atrofizzata perché congelata nella dimensione dell'infantile illimitato desiderio di possesso e della sensazione di onnipotenza, ben lontana dalla semplice soddisfazione del bisogno; infine la lusinga del "sorriso istituzionale" li diseduca all'impegno e alla fatica, favorendone al contrario le pulsioni narcisistiche.
Lo stile dell'autore è quello di molta sociologia critica, ricco di suggestioni, brillante, asistematico e al tempo stesso tutto teso a modellare un sistema totalizzante forse un po' troppo coerente. E anche il tema è caro a quella tradizione di studi, la preoccupata denuncia dell'affievolirsi di ogni istanza di cambiamento sociale.
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