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Fuori dal coro. Ruggero Zangrandi. Una biografia - Aldo Grandi - copertina
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Fuori dal coro. Ruggero Zangrandi. Una biografia
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Fuori dal coro. Ruggero Zangrandi. Una biografia - Aldo Grandi - copertina

Descrizione


Il volume è la biografia di Ruggero Zangrandi, giornalista di razza e scrittore morto suicida, a 55 anni, nel '70. Figura di spicco del giornalismo, Zangrandi si impone al largo pubblico negli anni Sessanta per le inchieste che svelano le trame del Sifar o scavano sulle verità più scomode sulla mancata difesa di Roma, nel 1943, da parte dello Stato Maggiore italiano. Ma la notorietà più vasta viene raggiunta con un libro memorabile, "Lungo viaggio attraverso il fascismo", che delinea il bilancio esistenziale, politico, ideologico di una generazione, la sua. La storia di Zangrandi, un "uomo fuori dal coro", per narrare la politica e il giornalismo dalla caduta del fascismo alla crisi del Centrosinistra.
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Dettagli

1998
Tascabile
5 giugno 2001
360 p.
9788884900159

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ANDREA VENTURA
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Mario Benedetti, collega di Ruggero Zangrandi a "Paese Sera" rivela a Aldo Grandi che "Ruggero era generoso, leale, non era ambizioso, severo nella professione ... Chiedeva molto agli altri e a sé stesso. Era metodico, aveva una grande capacità organizzativa ... Zangrandi era un leader nato che le circostanze della vita e della storia hanno emarginato". Fausto Coen ricorda che "umanamente era un uomo straordinario: leale, amabile, civile, educato nel senso profondo del termine". Zangrandi appartiene alla generazione che Aldo Grandi ha chiamato "i giovani di Mussolini", forse ne rappresenta l'archetipo, per radicalità, enorme, come l'intramontabile manifesta sfiga che l'accompagna in ogni cosa faccia nel pubblico e nel privato. Mi chiedo se un uomo possa essere più sfortunato di così, facendo peraltro scelte giuste ! In fondo gli uomini del fascismo si mostrarono molto più comprensivi con questa inquieta intelligenza che gli algidi, terribili comunisti che gli socchiusero la porta nel dopoguerra per fargliela pagare meglio e con più sotterranea malvagità, oltre naturalmente al solito, imperturbabile cinismo di Togliatti, che lo usa come esca viva per pescare "utili idioti" e "compagni di strada" del Pci. L'unico momento in cui scorge la scelta che l'avrebbe potuto salvare - andarsene in America - è in carcere a Berlino, oppresso dalla fame, dalle bombe alleate, dai compagni di cella ! Perché questa scelta, più volte accarezzata, già nel 1945 gli parve priva di qualsiasi attrattiva ? Perché farsi comunista a tutti i costi, in un partito che lo odia, lo disprezza, lo infanga, lo deprime, fatto salvo Togliatti per i motivi di cui sopra ? Credeva nell'ineluttabilità della vittoria sovietica e desiderava rimanere fedele alla sua giovinezza di leader del piccolo Partito Socialista Rivoluzionario da lui fondato, alla sua coerenza di ex giovane "fascista di sinistra" che strigliava le fesserie del regime. Pensava di riversare almeno una parte di quell'inquietudine purissima nel più impuro dei partiti: il Partito comunista

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