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Un fulmine sul 220 - Carlo Emilio Gadda - copertina
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Un fulmine sul 220 - Carlo Emilio Gadda - copertina
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Descrizione


"Un fulmine sul 220", progettato nel 1931 come novella, divenuto racconto lungo, poi romanzo in cinque capitoli, e infine abbandonato, testimonia l'inizio del percorso da cui nasceranno i "Disegni milanesi" e "L'Adalgisa". Tale romanzo incompiuto viene qui proposto nella ricostruzione compiuta da Dante Isella sulle carte e i quaderni autografi di Gadda. E' possibile così entrare nell'officina narrativa dell'autore e seguire la lunga metamorfosi del "Fulmine" attraverso le successive stesure, fino all'avvento dell'Adalgisa. Adalgisa romperà l'equilibrio costruttivo del "Fulmine" e si porrà in primo piano. Gadda abbandonerà in suo favore il progetto originario, rinunciando a terminare il romanzo.
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Dettagli

2000
330 p.
9788811661641

Voce della critica



Gadda, Carlo Emilio, Un fulmine sul 220, Garzanti , 2000
Gadda, Carlo Emilio, L'Adalgisa, Garzanti , 2000
recensioni di Cortellessa, A. L'Indice del 2000, n. 10

È tutt'altro che riservata agli addetti ai lavori (ai quali peraltro era già stata parzialmente anticipata) l'addizione alla "cartografia del continente Gadda" offerta da Dante Isella col restauro del Fulmine sul 220. Ne fa fede la veste editoriale adottata, discreto sincretismo fra resa critica di tutto il caotico materiale a disposizione e leggibilissima messa in chiaro dei passi più godibili (il plauso si estenda una volta tanto anche ai responsabili degli equilibri tipografici, e persino d'inchiostratura, di questo libro esemplare).
D'ambientazione milanese come La meccanica - il precedente tentativo gaddiano di romanzo, risalente al '28 -, ma depurato delle tensioni ideologiche che avevano finito per rendere "impossibile" quella storia di un socialista mandato tisico alla guerra, e cornificato da un ricco e razzente rampollo borghese, naturalmente imboscato, Un fulmine sul 220 doveva essere sostanzialmente, nelle intenzioni dell'autore, una storia d'amore fra una ricca e malinconica - perché borghesemente malmaritata - signora Elsa e uno spiantato e vagabondo ex garzone di macellaio, Bruno: romantico e strapossente ragazzo di popolo. Tale massima trasgressione alle convenienze e alle appartenenze sociali - ordine non scritto ma cogentissimo, nel microcosmo sussurrone e spiritualmente costipato della borghesia ambrosiana - avrebbe trovato allegorica punizione nel finale, quanto mai mélo, che alla narrazione dà il titolo: arsi vivi, i trasgredienti, in un nido d'amore imprudentemente contiguo a un traliccio della corrente elettrica, incendiato da una folgore rimbalzata sul cavo ad alta tensione. Un fulmine sul 220. "I sogni", si legge nell'abbozzo del finale, "volavano via con le divelte foglie, dove tutto si annulla e si perverte senza disegno" - e I sogni e la folgore si intitolerà il libro del 1955 nel quale Gadda riunirà le sue prime opere narrative (tutte in qualche modo imperniate, a ben vedere, sul venir meno repentino, fulmineo, di un ideale; o semplicemente del sogno di una vita che sia davvero tale): La Madonna dei filosofi, Il castello di Udine e L'Adalgisa.
Proprio L'Adalgisa, la raccolta di "disegni milanesi" pubblicata allo scadere del 1943, si scopre legata a filo doppio al progetto del Fulmine (iniziato fra il 1931 e il '32, proseguito a più riprese e abbandonato solo nel '36): cinque dei sette "disegni" veri e propri sono infatti dirette riscritture, e per lunghi tratti semplici rifiniture, da frammenti del Fulmine. Bene fa dunque Garzanti a riproporre il testo dell'Adalgisa, ormai un classico del nostro Novecento, insieme alla sua finora segreta sinopia (si sarebbe però dovuta aggiornare alle nuove pubblicazioni la nota di accompagnamento, scrupolosa ma invecchiata, di Guido Lucchini).
Che i "disegni" non fossero altro che quod superest di un invisibile iceberg sommerso si poteva indurre, nel testo dell'Adalgisa, da indizi tanto esterni che interni: "incastri tematici e di parentela tra i vari personaggi (...) analogie percepibili dall'uno all'altro foglio; e soprattutto (...) numerosi particolari esorbitanti" (Isella). Caratteristiche, queste, che - rispetto alla materia dei successivi capolavori, Cognizione e Pasticciaccio, emotivamente compatta quanto più linguisticamente e narrativamente labirintica - aveva sempre reso ostica a certi lettori la tanto più sanguigna e diretta Adalgisa: dipintura grottesca feroce ed esilarante, ma anche in certo modo reticente, della borghesia milanese.
Ora che lo strenuo zelo di Isella permette di almeno parzialmente ricomporre in criptosimbolico mosaico narrativo le pur sontuose isolate tessere satiriche dell'Adalgisa, si viene in possesso di un tesoro di prima grandezza: il "romanzo milanese" del "massimo scrittore lombardo, e milanese, dopo appunto Manzoni" (Contini). È solo tenendo nella memoria lo snodarsi della trama del Fulmine, infatti, che si possono gustare appieno le tanto più lavorate, e ormai virtuosisticamente manieristiche, lasse verbali dell'Adalgisa. E solo per questa via si capisce fino in fondo, come scrive Isella nella Nota al testo (alla quale si poteva solo aggiungere una didascalica tavola delle concordanze col testo vulgato dell'Adalgisa) che "il punto di vista da cui [Adalgisa] osserva il mondo ed eroga consigli e sentenze non coincide più, ora, con quello della tribù benpensante a cui (...) anch'essa appartiene, ma è quello dissacrante, violento, animato da spirito di rivalsa, dello stesso Gadda". L'Adalgisa c'est moi, insomma: come era già lecito sospettare.
Ma questo autobiografismo dissimulato e censurato - più vicino al Pasticciaccio, quindi, che non alla Cognizione - si rivela ancora più sottile, e dirompente, leggendo le parti del Fulmine non riutilizzate (diciamo pure censurate) nell'Adalgisa. Alludo - più che a una memorabile figura di "barbona", la Marianna, già appartenente a quel sottoproletariato suburbano che trionferà nel finale del Pasticciaccio - al livido ritratto di un nevroticissimo ingegnere edile che Isella pone in coda al volume, ma soprattutto al "pezzo nuovo" più saporito che il Fulmine possa offrire ai gourmets adusi ai sardanapalici banchetti di prosa sempre generosamente imbanditi dall'Ingegnere: e cioè al finale orgiastico del "disegno" che nell'Adalgisa si intitolerà Un "concerto" di 120 professori. All'imbrunire di una sera di maggio, nei giardini del Castello Sforzesco, Elsa e Bruno si sono appena faticosamente separati. Sino al calar delle tenebre il giovane percorre in bici gli anditi che percorrono il verde, le tenebre accoglienti. Scopre così, all'improvviso, un mondo "di là dalle cose" - e delle regole borghesi: "dietro il folto de' pinastri e delle serenelle si travedevano complicate ed attorte figure, come delle maioliche da sopramòbile, come dei neri Sèvres che la notte fingesse di dimenticare nel suo magazzino di ricetto (...) si sarebbe detto un'orchestra furtiva animasse quella povera selva, il suo municipale mistero (...) distribuita su 120 o su 1200 panche, di 120 o 1200 professori del suonare (...) Fino allo spasimo del silenzio. Insomma gli schidioni della cintura di castità erano ancora nel magazzino delle idee compossibili. O servivano ai rosticceri di via Larga, da infilarci dei polli" (suona così, perfettamente gaddiana, la clausola grottesca: che la climax lirica sbeffeggia e insieme spalleggia).
Al must musogonico del "concerto", sede di pettegola raccolta della tribù ambrosiana conflata da infinite parentele incrociate, fa imprevedibile riscontro questa specie di altrettanto ambrosiano, discreto - ma proprio per questo ancora più eversivo - Zabriskie Point avanti lettera. Facendoci quasi toccare con mano la torturante forza di quell'anelito a una calda vita che la dolorosa non vita - toccatagli invece in sorte - mai riuscì a spegnere del tutto in questo grand'uomo, tormentato e difforme, che era Carlo Emilio Gadda.

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Conosci l'autore

Carlo Emilio Gadda

1893, Milano

Carlo Emilio Gadda è stato uno scrittore italiano. Fece tutti i suoi studi a Milano, fino a quelli di ingegneria. Combattente nella prima guerra mondiale, fu fatto prigioniero e trasse da queste esperienze un Giornale di guerra e di prigionia, pubblicato più tardi (1955). Negli anni Venti svolse la professione di ingegnere, in Italia e all’estero, collaborando nel frattempo alla rivista fiorentina «Solaria», nelle cui edizioni pubblicò gran parte delle sue prime opere narrative: La Madonna dei filosofi (1931) e Il castello di Udine (1934). Da Milano, dov’era tornato a stabilirsi, si trasferì nel 1940 a Firenze, e qui risiedette quasi ininterrottamente fino al 1950. Visse da allora a Roma, dove lavorò per il terzo programma radiofonico...

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