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Descrizione


1944. Nella Roma occupata dai nazisti, a casa Ferrara si presenta un ragazzo in divisa da ferroviere. È Maurizio Ferrara, chiamato alle armi dai fascisti e diventato al Nord partigiano comunista. Giovanni, suo fratello minore, fatica a riconoscerlo. Fine degli anni Novanta, Porto Ercole. La cognata chiama Giovanni: "Devi andare a parlare con tuo fratello". Lo trova in lacrime: "È tutto finito". Piange per la fine del sogno comunista, e per se stesso. In molte famiglie italiane, la politica ha diviso, ma non ha potuto tagliare i legami di sangue. Maurizio (1921-2000), il fratello comunista, è stato uno dei leader del Pci, direttore dell'"Unità", presidente della regione Lazio, senatore. Giovanni, il fratello liberale, è stato professore di Storia antica a Firenze, collaboratore del "Mondo" di Pannunzio, senatore del Pri, impegnato in Libertà e Giustizia. Questa è la storia del loro rapporto: la famiglia liberale e il padre antifascista, le drammatiche scelte del dopoguerra; e poi le divergenze ideologiche e politiche e gli affetti profondi, le differenze e le affinità. Giovanni Ferrara scava nella mentalità e nell'anima dei comunisti: nei loro ideali e nelle loro chiusure, nella loro visionarietà e nelle loro ambiguità, nel loro carattere e nelle loro ipocrisie, nella loro forza e nella loro sconfitta. Senza reticenze, mettendo in discussione prima di tutto il proprio credo liberale, Ferrara si interroga così sulla storia del Novecento: sulla politica e sull'ideologia, ma soprattutto sugli uomini.
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Dettagli

2007
10 maggio 2007
161 p., Rilegato
9788811597056

Voce della critica

Maurizio e Giovanni erano con Luciana figli dell'avvocato Mario Ferrara, liberale, antifascista, immerso nella dimensione di massa delle società e quindi convintamene democratico. I riferimenti erano Benedetto Croce e Giovanni Amendola, alla cui memoria il figlio minore dovette uno dei nomi (gli altri erano Giacomo e Piero). Il racconto si snoda intorno al rapporto dei due fratelli con il padre, scomparso ancora giovane nel fatidico 1956, e ai diversi percorsi che ne derivarono. Maurizio, adolescente nel periodo dell'"esilio" interno della famiglia in un borgo della campagna romana, divenne nei cruciali anni quaranta comunista e fu amministratore regionale e senatore. Giovanni, storico dell'antichità, compì l'accidentato percorso del liberalismo democratico di sinistra fino a incontrare Ugo La Malfa. Del Pri divenne quindi dirigente e poi senatore.
Dal padre generarono le due sinistre che, figlie di uno stesso ceppo pur in uno schiacciante squilibrio di forze, si fronteggiarono nell'Italia repubblicana, inesorabilmente divaricandosi. Giovanni realizzò le aspirazioni profonde del padre, dal quale attinse la passione per la storia, e realizzò un modo di intendere l'impegno politico nutrito di un intreccio indissolubile con la cultura, a Mario inibito dalla dittatura. Maurizio assunse del padre gli aspetti rimasti forzatamente incompiuti: la militanza giornalistica e la piena, orgogliosa affermazione di un'ideologia assoluta. Maurizio sembrò così trovare una piena realizzazione e un compimento del padre in Palmiro Togliatti; Giovanni in Ugo La Malfa colse il politico che operava per la democrazia dei democratici del Novecento.
Maurizio apparteneva a una forza che si avvertiva necessitata dal processo storico e che avrebbe oltrepassato quei limiti che impedivano una democrazia sostanziale. Era il comunismo. Eppure, in quest'uomo che era tutt'uno con il partito e con l'idea di società che incarnava, la crisi giunse presto. Prima con le perplessità per il compromesso storico di Berlinguer, cifra di una politica secolarizzata e perciò non amata né compresa. Gli oppose il "compromesso rivoluzionario". Poi, nella distanza crescente degli anni ottanta, quando apprezzò il realismo miope di Craxi. Infine, nella disperazione conclusiva. Il dramma di Maurizio, per il quale la moglie Marcella vide come solo possibile medico il fratello Giovanni, seguì e non accompagnò la fine dell'Urss e del comunismo. Precipitò infatti con la rovinosa caduta di ogni ipotesi di socialismo, anche di quella di Craxi e non solo della versione psiuppina del fratellastro del padre Tullio Vecchietti. Era la disprezzata civiltà borghese a incarnare le ragioni della storia. Il rivendicare la propria identità comunista si scontrava con la coscienza di avere avuto torto, a maggior ragione perché, essendo comunista, si era assolto tutt'al più a una funzione liberale e democratica. Per Giovanni l'esaurimento del mondo bipolare, della repubblica dei partiti e, con lacerazioni personali, del Pri di Malfa, fu una riflessione sulla democrazia, sull'irrisolto incontro di libertà e giustizia e sulla crescente distanza dai termini di quel binomio decisivo per ogni democratico.
Un libro bellissimo, autentico e quindi pudico, che restituisce le laiche energie morali del nostro paese, e il loro finale frantumarsi, al tormentato Novecento.
  Paolo Soddu

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