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1985
1 gennaio 1985
510 p.
9788821167584

Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1986)
recensione di Alberigo, G., L'Indice 1986, n. 8

Dopo avere dato significativi apporti alla storiografia medievale, Giovanni Miccoli lavora da parecchi anni alla storia religiosa contemporanea con risultati molto rilevanti. Una decina dei saggi più interessanti di questa stagione sono ora organicamente raccolti in questo imponente volume pubblicato da Marietti.
Una breve ma impegnata introduzione consente a Miccoli di riprendere e sottolineare l'importanza dello studio della storia della chiesa, già vigorosamente affermata all'inizio degli anni sessanta da Delio Cantimori. Tuttavia l'autore non si nasconde la problematicità particolarmente elevata di fare storia della chiesa per l'età contemporanea, dove il rischio di inquinamenti ideologici della ricerca e dei suoi risultati è particolarmente forte. È una sfida che Miccoli accetta in tutto il suo spessore tematizzando la problematica della "cristianità", cioè di un modo di intendere e di attuare il rapporto chiesa-società in una prospettiva di simbiosi e di reciproca sovrapposizione e sostegno, come anche di parziale e frequente conflitto. Una formula che la chiesa ha ereditato dal passato medievale e, forse, soprattutto dall'ancien régime e dalla quale fatica a separarsi, malgrado i problemi e le vischiosità che tale formula causa in un contesto culturale, politico e sociale completamente mutato.
La sfida metodologica alla quale Miccoli intende rispondere attraversa l'intero volume, anche se trova una intensità tutta particolare nel saggio centrale, che con oltre duecento pagine fittissime (pp. 131-337) costituisce da solo un volume, dedicato a "La Santa Sede nella II guerra mondiale: il problema dei "silenzi" di Pio XII". Già dal titolo è agevole cogliere tutta la scabrosità del tema scelto da Miccoli; n‚ è un caso che l'autore abbia sentito la necessità di rielaborare e arricchire considerevolmente proprio questo saggio, le cui formulazioni iniziali risalgono alla metà degli anni sessanta. Sappiamo tutti la carica di emotività, di polemica e di genericità che domina la ricostruzione (ma quasi sempre non si è trattato piuttosto di un giudizio?) dell'atteggiamento della chiesa cattolica e di papa Pacelli nei confronti del genocidio nazista degli ebrei. L'imponente letteratura sull'argomento potrebbe infatti essere agevolmente classificata quasi tutta secondo le categorie dell'accusa e della difesa, a conferma del tasso elevatissimo di ideologizzazione del problema.
Il saggio si impegna in un'analisi rigorosa delle fonti come della letteratura, imponendosi un metodo di acribia incessantemente sorvegliata e verificata con puntigliosità che rasenta lo scrupolo. Miccoli si obbliga a evitare ogni generalizzazione, anzi qualsiasi conclusione affrettata o unilaterale, consapevole del pre-giudizio che è continuamente in agguato in questa problematica. Pertanto la questione è esaminata in tutte le sue componenti principali, quasi scomposta nei suoi fattori e stratigrafata con pazienza e distacco esemplari. Via via sono analizzati l'atteggiamento della S. Sede nei confronti della guerra, i rapporti tra cattolicesimo tedesco e nazionalsocialismo, il rilievo delle preoccupazioni anticomuniste dominanti in Vaticano, l'influsso esercitato dall'abituale atteggiamento cattolico di contrapposizione nei confronti del mondo moderno e, infine, il peso del sottofondo antisemita nel frenare la presa di posizione della chiesa nei confronti della legislazione razziale. In questo modo la questione è analizzata da punti di vista diversi con l'effetto di una feconda verifica incrociata delle acquisizioni che la ricerca ha passo passo raggiunto.
È impossibile ripercorrere qui il procedere metodico dell'analisi di Miccoli che accumula inesorabilmente dati di fatto, sentimenti, manifestazioni di pregiudizio nella misura in cui tutti hanno concorso, spesso quasi impercettibilmente, a portare il papa e la Santa Sede alla paralisi nei confronti del genocidio nazista, quanto meno al livello di una presa di posizione inequivocabile di condanna. Il saggio, mediante l'esame di una miriade di documenti (non saprei segnalare omissioni) e il puntuale confronto con le interpretazioni già proposte, conduce il lettore attraverso una vicenda altamente drammatica, ripercorrendo le informazioni che sui crimini nazisti via via pervenivano in Vaticano e ricostruendo il modo col quale esse venivano valutate. Sinteticamente si può dire che il punto di maggiore impegno del Vaticano nella direzione di una denuncia del genocidio fu raggiunto quando il papa in diverse occasioni incoraggiò i vescovi tedeschi, ma più tardi anche quelli degli altri paesi - come l'Ungheria - ai quali l'occupazione nazista aveva esteso le persecuzioni antiebraiche, a prendere posizione pubblicamente contro tali atrocità. Al di là di questa soglia Pio XII e i suoi immediati collaboratori (il card. Maglione e poi, sempre più, Tardini e Montini) non immaginarono mai di potere o dovere andare.
Miccoli è molto sobrio, quasi reticente, nel formulare la sua spiegazione di tale "silenzio" in fedele obbedienza all'esigenza conoscitiva che anima tutto il saggio (e tutto il volume). Si potrebbe quasi dire che la solida formazione medievistica dell'autore sia stata messa in opera con indubbia fecondità anche in una ricerca di storia recentissima, ancorché con qualche rischio di ritardare o, al limite, emarginare il momento sintetico conclusivo. In verità Miccoli non si sottrae neppure a questa responsabilità e accenna ripetutamente ai condizionamenti che sembrano fornire le ragioni che hanno trattenuto i massimi responsabili della chiesa cattolica da una condanna alta e forte (almeno come quella espressa ripetutamente nei confronti del comunismo ateo) del nazismo e da una puntuale e inequivocabile denuncia dei suoi orrori. Certo è che l'enorme materiale filtrato criticamente da questo lavoro consente di chiedersi se alla fine l'alternativa più fondata davanti alla quale si è trovato il cattolicesimo romano sia stata quella della denuncia o del silenzio, o piuttosto quella di percepire la insanabile contraddizione tra il messaggio evangelico e la guerra. Intendo dire che il lavoro di Miccoli è particolarmente prezioso in quanto consente di vedere con inedita chiarezza come Pio XII e i suoi collaboratori si muovessero nella prospettiva della legittimità della guerra (cfr. p. 225) e ne deducessero il criterio irrinunciabile dell'"imparzialità" della chiesa nei confronti dei vari belligeranti (cfr. p. 167, ma anche molti altri luoghi e, infine, pp. 332-333). È stata questa la base portante, rafforzata certamente dall'antibolscevismo e dall'antisemitismo da un lato e da un altro lato da una visione "corporativa" della responsabilità pastorale (cfr. pp. 195 ss.), della convinzione del papato di non potere uscire dal proprio riserbo.
Mi sembra legittimo chiedersi se la causa ultima dei silenzi non vada cercata proprio nel ritardo culturale e teologico che manteneva il cattolicesimo romano e in particolare la Santa Sede in un clima spirituale ormai superato e perciò fittizio, quello appunto di "cristianità" nel quale la guerra costituiva un dato sottratto al dibattito critico e accettato come un fattore costitutivo della condizione umana e in particolare della politica. Ogni conflitto doveva essere deplorato dalla chiesa ma anche accettato nella sua ineluttabilità, sia pure con la modalità dell'"imparzialità". Il dibattito sui "silenzi" si iscrive tutto in questo contesto e proprio a causa di ciò risulta insolubile. L'accertamento, che Miccoli porta a un grado elevatissimo di certezza, del grado sempre più ampio di informazione della Santa Sede sulla determinazione nazista alla soluzione finale e, insieme, della impotenza e impossibilità interna e interiore a concepire e a manifestare una condanna si risolve, a mio parere, in una contraddizione senza via d'uscita. E l'autore ha ragione di rifiutare fermamente le spiegazioni di tipo moralistico o soggettivo; ciò che questo dibattito mette in gioco è la concezione stessa della fede cristiana, della storia umana e della chiesa. La coerenza del sistema cattolico e quella personale del cristiano Pacelli inchiodavano la Santa Sede a una insuperabile impasse; solo con la "Pacem in terris" di venti anni più tardi il cattolicesimo riprende coscienza dell'esistenza nel patrimonio evangelico di possibilità alternative.
Se il saggio sull'atteggiamento di Pio XII verso il genocidio perpetrato dai nazisti ha stimolato considerazioni particolarmente ampie, ciò non significa affatto che gli altri contributi raccolti nel volume siano di minore interesse. Alcuni- come il primo su "Chiesa e società in Italia tra Ottocento e Novecento: il mito della Cristianità" (pp. 21-92) nonché quelli su "Chiesa e Fascismo" (pp. 112-130) e su "Chiesa, partito cattolico e società civile" (pp. 371-427)-sviluppano temi rilevanti della storia della chiesa in Italia. Altri - quelli su "Pio Paschini e il modernismo" (pp. 93-111) e su "Don Lorenzo Milani nella Chiesa del suo tempo" (pp. 428-454)- mettono a fuoco figure significative della recente evoluzione cristiana nel nostro paese. Altri infine riguardano una significativa esperienza locale ("Chiesa e società nella diocesi di Udine fra occupazione tedesca e resistenza [1943-1945]"), un tema cruciale della vita e della riflessione cristiana attuale ("La questione della laicità nel processo storico contemporaneo") o gli aspetti critici della chiesa cattolica negli ultimi decenni ("Una chiesa lacerata").

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Conosci l'autore

Giovanni Miccoli

1933, Trieste

Giovanni Miccoli, nato a Trieste nel 1933, ha studiato presso la Scuola Normale Superiore e l’Università di Pisa, dove è stato allievo di Ottorino Bertolini, Delio Cantimori e Arsenio Frugoni. Per oltre quarant’anni ha insegnato Storia medievale e Storia della Chiesa prima a Pisa, poi a Trieste, a Venezia e di nuovo a Trieste. In ambito medievale si è occupato soprattutto di riforma gregoriana e di origini francescane; in ambito contemporaneo di antisemitismo cattolico, di Vaticano, guerra e Shoah, e degli orientamenti del papato dopo il concilio Vaticano II. Alla sua opera è dedicato il volume Una storiografia inattuale? Giovanni Miccoli e la funzione civile della ricerca storica, a cura di G. Battelli e D. Menozzi (Viella, 2005).

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