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Recensioni La fotografia giudiziaria

La fotografia giudiziaria di Alphonse Bertillon
Recensioni: 5/5
L’importanza di questo libro di Alphonse Bertillon, pubblicato nel 1890 nella collana Bibliothèque photographique dell’editore parigino Gauthier-Villars et fils e qui proposto per la prima volta in lingua italiana, va ben al di là della storia giudiziaria. Getta infatti una luce nuova sull’attitudine, in anni molto precoci, di riconoscere alla fotografia e alla macchina fotografica, la capacità oggettiva di riprodurre la realtà. Gli anni in cui è scritto sono quelli nei quali gli artisti escono dagli studi per riprodurre en plein air la luce “vera”, che disegna la realtà. Bertillon, attraverso l’apparecchio fotografico, che con il suo obiettivo cattura la luce per “scrivere” la realtà su di un supporto cartaceo, escogita il suo “sistema” di identificazione giudiziaria: l’antropometria. La fotografia, dunque, è concepita come mezzo per riprodurre oggettivamente la realtà, poiché essa viene trascritta da una macchina e non dall’uomo con tutto il suo portato soggettivo. Nella sua continua classificazione del genere umano attraverso le schede segnaletiche, Bertillon, inconsapevolmente, ci fornisce la traccia di un’umanità perduta, fissata nel tempo: materiali dispersi di una realtà da sempre nascosta.)
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