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Nell'introdurre questa collettanea, frutto di un convegno tenutosi a Torino verso la fine del maggio 2007, nota Franco Sbarberi che è stato al pensiero liberale che spetta il merito di aver messo nitidamente in luce "l'aporia fondamentale del sistema marxiano": come ebbe infatti a osservare Kelsen, "partendo dall'essere non si può mai desumere un dovere, partendo da un dovere non si può mai desumere un essere". Va certo precisato che la rivoluzione richiede uno scatto in avanti della storia, ed è inevitabile che non possa discendere automaticamente dalla semplice analisi sociale; proprio per questo il leninismo, che una rivoluzione, almeno in parte, riuscì a realizzarla, è un volontarismo delle avanguardie coscienti, notoriamente "revisionista" rispetto al pensiero di Marx. L'errore di quest'ultimo fu, alla fin fine, quello di presentare una teoria politica in termini di necessità storica, laddove nessuno può farlo: né i comunisti, né i liberali. Per un sottile paradosso, l'Ottobre rese alla lunga ancora più difficili le cose ai socialisti e ai comunisti occidentali, rappresentando per molto tempo l'unico banco di prova mondiale per il socialismo al potere, e partorendo risultati in larga parte deludenti, quando non decisamente tragici.
Così, mentre gli "egualitari" non comunisti à la Russell fin dall'inizio deprecarono il metodo russo di attuazione del socialismo (al filosofo gallese, che in questo non si allontanava granché dall'interpretazione offerta da Gobetti, il bolscevismo sembrava "internamente aristocratico ed esternamente di massa"), non pochi esponenti della sinistra novecentesca stentarono a farlo: lo dimostra il caso di Carlo Rosselli, apprezzatissimo teorico del socialismo liberale, ma non del tutto ostile a Stalin ancora nel cuore degli anni trenta. Come stupirsi dunque se, mentre Raymond Aron definiva il comunismo "l'oppio degli intellettuali", qualcuno, come Dewey, trovava più costruttivo centrare la propria attenzione sulla divergenza fra il comunismo sovietico e quello marxiano? Altri ancora, e fra questi Polanyi, cercarono poi di fondere prospettiva cristiana ed etica marxista.
La raccolta non si limita, peraltro, a una serie di panoramiche riguardanti le riflessioni sul comunismo dell'uno o dell'altro pensatore (sono oltre una ventina), ma varie volte, come nello splendido saggio di Anna Elisabetta Galeotti su Hayek, o nei brillanti contributi di Marco Revelli su Arthur Koestler (l'autore di Buio a mezzogiorno) e di Cesare Pianciola su Claude Lefort, ricchi di indicazioni su prospettive solo in parte sottoposte a disamina fino a oggi, ospita sintetiche ricognizioni sull'insieme di un pensiero organicamente inteso, facendo dell'approccio di ogni autore al tema del rapporto fra comunismo e libertà il perno di analisi più vaste e articolate. Non sono sicuramente alcuni svarioni tipografici (come il "laizzez-faire") a sminuire il valore di questo lavoro, anche considerando di quali becere rivisitazioni, approssimazioni e appropriazioni la tormentata storia del pensiero comunista sia spesso oggi, e sia stata spesso ieri e l'altro ieri, oggetto in Italia.
Daniele Rocca
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