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Per temi e suggestioni ricorda "Il deserto dei tartari"; con linguaggio scorrevole immerge il lettore, ammaliandolo come Circe con Odisseo, in un'atmosfera atemporale, onirica, per farlo riflettere sul significato della guerra, dei sentimenti e delle scelte + o meno consapevoli che si affrontano nella vita. Da leggere.
Un libro insolito, straordinario, scritto da un grande talento letterario. Una narrazione tesa, con importanti contenuti filosofici.
Recensioni
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Al lettore italiano, probabilmente, la vicenda del tenente Livius Maxim, trasferito a pochi giorni dal congedo in una fortezza ai confini dello stato, senza una missione precisa da compiere, ricorderà il destino di Giovanni Drogo. Hász, originario di una famiglia magiara della Vojvodina, provincia autonoma all'interno della Serbia, e residente dal 1991 in Ungheria, costruisce, al pari di Buzzati, una realtà militare dominata da regole sovvertite e surreali e dalla sfibrante attesa di un evento, anche drammatico, che spezzi la noia e l'angoscia delle giornate sempre uguali a se stesse. Ma il padre letterario di Hász è, più verosimilmente, Milo Crnianski, autore del romanzo epico Migrazioni del 1929, il cui protagonista, Vuk Isakovi???, è un ufficiale serbo, preposto alla guida del reggimento Slavonia-Danubiodell'esercito austroungarico. Nel 1744 è inviato all'ennesima spedizione senza sapere, come sempre, verso quale direzione dovrà condurre i suoi uomini, né contro quale nemico dovrà combattere. Un forte senso di vittimismo, proprio, ma anche di tutto il suo popolo, lo accompagna lungo il romanzo, assieme al ricordo sempre più rarefatto della moglie e delle figlie ancora piccole. Allo stesso modo il tenente Livius è dilaniato tra ordini assurdi che è chiamato a svolgere, la convivenza con i soldati di varie parti del paese e i ricordi confusi della sua infanzia, degli amori, dei segreti di famiglia. Su tutto domina la memoria collettiva di Tito, indicato semplicemente come "il Maresciallo" o "il Vecchio", su cui si addensano leggende e fantasie, soprattutto sul luogo reale della sua sepoltura. Metafora della guerra balcanica degli anni novanta, il romanzo di Hász ambisce a mescolare con abilità sentimenti individuali e collettivi, ricostruendo il senso di smarrimento di quegli anni. L'artefatta nebulosità della vicenda di Livius rischia però di generare un senso di ineluttabile fatalismo, che tende e cancellare o stemperare responsabilità individuali e differenze tra carnefici e vittime. Donatella Sasso
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