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-CH>Il libro di Massimo Introvigne nasce dalla teoria, esposta altrove da lui stesso e da Rodney Stark, dell'economia religiosa, la quale a sua volta è composta di tre tesi principali. La prima, in reazione al dominante assunto di derivazione marxista per cui la religione non è altro che il riflesso di potenze esterne che controllano gli uomini, afferma che i movimenti religiosi vanno compresi in primo luogo come fenomeni religiosi. La seconda nega che religiosità e modernizzazione siano inversamente proporzionali, come si potrebbe pensare e come la teoria della secolarizzazione porterebbe a pensare. La terza tesi sostiene che nello spettro degli orientamenti possibili, che vanno dalla categoria ultraprogressista a quella ultrafondamentalista, la "nicchia" dei conservatori è quella che resiste meglio e, anzi, gode generalmente di un certo successo. Per il resto, la teoria in questione vuole trattare il suo oggetto come un prodotto cui si applicano le normali leggi di mercato. Perciò la religione prospera laddove esiste una varietà nell'offerta, se non interreligiosa almeno intrareligiosa, e deperisce invece quando non vi è sufficiente competizione. La prima parte del volume si concentra sull'esposizione particolareggiata di queste argomentazioni, con il conforto di dati statistici inequivocabili.
-CH>Due osservazioni su questa prima parte. La prima, più superficiale, è che il lettore si sente continuamente richiamato ad altre precedenti pubblicazioni dove tutto ciò che si espone è già stato adeguatamente sviscerato, e con questo ne ricava l'irritante sensazione di aver acquistato il libro sbagliato. La seconda, più seria, è che l'approccio sociologico, a colpi di tabelle di dati che non ci si sogna certo di discutere, giunge a fornire paradigmi in un certa misura innovativi e convincenti per un panorama sincronico, ma che mancano di spessore storico; il che riconduce all'eterno problema, quanto all'analisi delle umane vicende, del rapporto tra metodo socioantropologico e metodo storico-critico. Sarebbe infatti interessante vedere a quali risultati porterebbe l'applicazione delle leggi di mercato al contesto, per fare un esempio, dell'Italia medievale. Dove e quando è applicabile la formula dell'economia religiosa, quali sono i suoi limiti? In sostanza, si ha l'impressione che l'analisi di Introvigne appaia sempre incalzata dall'urgenza di risvolti pratici immediati. Forse il rapporto dell'autore, accuratamente messo in rilievo nel risvolto di copertina e nell'interno del volume, con alcune istituzioni deputate alla sicurezza internazionale contro il terrorismo è in grado di spiegare tale prospettiva.
-CH>La seconda parte del volume tenta l'applicazione pratica della teoria dell'economia religiosa nell'individuazione di orientamenti fondamentalisti in alcuni contesti tradizionali per la sociologia delle religioni (protestantesimo, cattolicesimo, mormoni, mondo ebraico, induismo). Infine, ci si concentra sul mondo islamico, dall'Algeria alla Turchia, dall'Iran all'India. Culmine del volume è l'ultimo capitolo sul terrorismo suicida, dall'Iran della rivoluzione sciita agli ultimi casi di cronaca in Palestina.
-CH>Occorre notare che la struttura del libro scricchiola, e questo per due motivi. Il primo è la sua disomogeneità: si passa dalla particolareggiata analisi di natura teorica al volo pindarico su scenari religiosi diversissimi tra loro, sino al tuffo finale nel variegato mondo islamico. Ambiti di ricerca che di per sé richiederebbero ciascuno alti gradi di specializzazione e soprattutto un maggiore dettaglio nell'analisi. Per quanto lo si presenti come "cauto", il parallelo tra il suicidio di massa del Popolo del tempio a Jonestown e l'ideologia del martirio nella Bassidja dell'Iran di Khomeyni lascia francamente perplessi. L'altro elemento che mette alla prova l'organizzazione del libro è il peso specifico degli argomenti trattati, che potrebbe impegnare numerosi studiosi per lunghi anni. Non si vuole criticare qui la competenza dell'autore, che vanta un patrimonio notevole di letture (peraltro evidente nella bibliografia a fondo del volume), ma la sua rimane un'impostazione che fa problema. Non a caso, a fronte di un'abbondante letteratura secondaria, i documenti veri e propri non sono molti (per quanto di grande interesse). Il libro tenta perciò un incrocio tra sintesi della storia degli studi e descrizione giornalistica degli eventi, per poi proporre tesi nuove e impegnative.
-CH>Tutto si gioca sulla scoperta, tra le Scilla e Cariddi di un progressismo destinato all'insuccesso e un rischioso fondamentalismo, della nicchia conservatrice quale aurea mediocritas in grado di garantire longevità alla religione e al tempo stesso un rassicurante distacco dall'estremismo violento. È con ogni evidenza un punto interessante del volume, ma viene da chiedersi qual è questa categoria religiosa di cui si misura la tenuta nel mondo contemporaneo. Non che ci si rifiuti di seguire Introvigne nella sua critica alla teoria della secolarizzazione, anzi, ma si vorrebbe comprendere meglio il rapporto tra il relativo successo dell'orientamento conservatore all'interno di una pratica religiosa comunque limitata e invece la recrudescenza di una disordinata ansia spirituale che esplode in diverse forme, non ultima quella del New Age.
-CH>Il fatto è che in alcuni punti del libro si procede troppo rapidi, come per esempio nell'analisi del terrorismo suicida, di cui si critica il richiamo all'esperienza martiriale, tradizionale nel mondo sciita. È senza dubbio vero che la pratica del terrorismo suicida segna una svolta nella lotta armata dei movimenti islamici estremisti, ma non ha senso negare a tale pratica il richiamo a qualsiasi tradizione passata, per quanto rivisitata alla luce di un'esegesi inedita; l'affermazione per cui il suicidio del terrorista è l'espressione di una ricerca della "morte per la morte, come vi è un'arte per l'arte" non è sufficientemente spiegata e non convince. Sembra si voglia a tutti costi evitare la contraddizione di un'evoluzione teologica determinata da esigenze politiche, il che metterebbe in discussione la teoria dell'economia religiosa. Del resto se questa fosse la preoccupazione di Introvigne, ci pare eccessiva, giacché tutte le teorie possono presentare delle contraddizioni; basterebbe, come detto più sopra, definire dei limiti di applicazione.
-CH>Si faccia però attenzione che le critiche mosse non intaccano l'interesse del volume, piuttosto esprimono il fervore di chi, preso al termine di una lettura affascinante, vorrebbe poter discutere ancora con l'autore. Un autore avvertito, che - fa piacere constatarlo in un sociologo - non fagocita acriticamente notizie di cronaca, pur di inquadrarle nelle sue tesi. Nel caso dell'Algeria, come anche in quelli della Turchia e della Cecenia, Introvigne ha l'attenzione e il coraggio di denunciare la complessità di scenari in cui, tra estremismo terrorista e frange reazionarie dell'esercito, si creano ambigue collusioni per il mantenimento di una situazione di terrore che fa comodo a certi interessi forti.
-CH>Dunque il filo conduttore del libro è la ricerca, che oggi appare particolarmente importante, di una categoria religiosa in grado di disinnescare l'uso della violenza come soluzione dei conflitti. Il titolo sarebbe potuto essere "Alla ricerca di un islam conservatore".
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