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La fine della storia naturale. La trasformazione di forme di cultura nelle scienze del XVIII e XIX secolo
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1991
292 p.
9788815032423

Voce della critica


scheda di Revelli, M., L'Indice 1991, n.10

Ne "Le tre culture" (II Mulino, 1987) Wolf Lepenies, originale figura di storico dell'epistemologia sociologica, o di epistemologo con interessi storici e sociologici, aveva ricostruito l'emergere di un terzo "sapere" - quello "sociologico", appunto - tra le due forme di cultura fondamentali della modernità, la scienza e la letteratura. In un libro precedente, "Melanconia e società" (del 1969, tradotto da Guida nel 1985), aveva affrontato il prob1ema dell'ordine, nel campo della natura e in quello dei comportamenti umani. Ora, con "La fine della storia naturale", completa il quadro, mettendo a fuoco quello specifico passaggio, decisivo nella definizione della modernità, in cui maturò la divaricazione tra le due "culture" fondamentali: in cui cioè si ruppe l'unità tra scienza e letteratura che aveva caratterizzato l'intera fase premoderna, sotto la pressione dell'empirismo crescente, e si affermò un concetto qualitativamente nuovo di sapere. Il riferimento cronologico è preciso: l'ultimo terzo del XVIII secolo, il Settecento maturo, quando, con la repentinità dei processi rivoluzionari, delle vere e proprie "rotture storiche", si dissolse "quella importante tradizione del sapere europeo che abbracciava tutte le discipline e si chiamava storia naturale". Lepenies intende con questo termine quella forma specifica di sapere che aveva dominato dall'età classica fino alle soglie di quella moderna, fondato sull'idea di una conoscenza statica, sistematica, consegnata all''ars mnemonica', tutta in qualche modo contenuta nei grandi repertori classici, corrispondente a un'idea organica e ciclica, non cumulativa, dell'universo e del suo corso: una storia "immobile" del mondo e dei suoi abitanti racchiusa in qualche modo nell'ordinato e limitato orizzonte delle "cronologie", entro i confini certi e brevi della storia biblica. Essa non riuscì a sopravvivere all'urto della "temporalizzazione", di quel fenomeno che, sulla scorta delle categorie di Reinhart Koselleck, Lepenies individua come essenza della modernità, e che rovescia il rapporto tra tempo e storia facendo della seconda la reale forza propulsiva, il fattore creativo di un tempo che si presenta per questo aperto, creativo, luogo dell'inedito e del non mai esperito. Né a governare l'immenso proliferare di informazioni e di "novità" che l'analisi empirica della realtà venivano accumulando. S'impose allora la necessità di "inventare" un nuovo criterio di ordinamento dei saperi, un criterio "temporalizzato", inevitabilmente, capace di uscire dall'ordine statico del passato per incorporare in sé il mutamento e la differenza. Nacquero le "storie" separate e specialistiche delle diverse discipline naturali (una storia della chimica, della botanica, della zoologia, della mineralogia...). Nacque, appunto, la "storia della natura", di una natura concepita ora in modo mobile, evolutivo, dinamico. E s'infranse l'organicità originaria.
Tutto ciò Lepenies lo indaga con uno stile agile, efficace, per brevi "narrazioni" e squarci, senza forzare l'ordine del racconto, lasciando emergere le tendenze dalla giustapposizione degli "episodi" e degli autori (centrale Buffon, ultimo esempio di autore in cui letteratura e scienza si fusero).

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