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Filosofia e scienza nell'Italia del Novecento. Figure, correnti, battaglie - Paolo Parrini - copertina
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Filosofia e scienza nell'Italia del Novecento. Figure, correnti, battaglie - Paolo Parrini - copertina

Descrizione


Personaggi e aspetti del pensiero italiano dell'ultimo secolo, avventure e disavventure delle filosofie di ispirazione scientifica. In Italia il retaggio di tipo storicistico e umanistico continua a condizionare in maniera forte, e talvolta, "mascherata" il dibattito culturale e l'organizzazione degli studi. Questo studio propone una rilettura della nostra recente tradizione attraverso l'analisi di figure come Vailati e Calderoni, de Finetti ed Enriques, Geymonat e Preti.
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Dettagli

2004
1 gennaio 2004
390 p., Brossura
9788883355394

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vitaliano bacchi
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Convince in Parrini la puntuale fondazione metafisica della filosofia e la volontà di una teoresi alternativa allo storicismo iedalistico invalso nella tradizione italiana ed è ovvio: nella sua opera l'equazione fra filosofia e gnoseologia si delinea col rigore che garantisce alla scuola italiana l'imprescindibile impianto metafisico che ha determinato il primato della scuola tedesca. Se Parrini fosse magistrato gli imputati farebbero la fila per essere giudicati da giudice di rigore tale da sublimare in clemenza: clemente è l'iscrizione di Pareyson e della sua rifondazione della gnoseologia leninista nella filosofia e non nella propaganda, clemente è l'attenutante concessa alla scuola marxista italiana di una levatura filosofica diversa dalla chiosa filosofico-sindacale di Mario Tronti di Operai e capitale. La clemenza continua nella pur lucida analisi del probabilismo di De Finetti, secondo il quale avrebbe natura psicologica la probabilità di un evento meteorologico, autore che Parrini strappa alla più congrua ragioneria generale, tacendo la parità filosofica della sua epistemologia stocastica con la teoria dei giochi in economia e cioè del modo certo di sbagliare le scelte. Comprese quelle atomiche che l'altro "grande" filosofo probabilista Von Neuman propose di sperimentare con l'attacco atomico preventivo ad est.Insomma Parrini, pur nell'ambito della trattazione generale rivendicativa della esigenza di passare dalla storigrafia alla teoresi, si mostra autore di ricognizione più che di censura: a parte gli atti di clemenza di un metafisico troppo rigoroso da cedere alla polemica, l'opera benchè purtroppo resti per specialisti, va letta e conservata. Non solo per avere nozione ragionata del disastro idealistico-storicistico della filosofia italiana, non solo per convincersi dell'insopprimibile ruolo della metafisica nella teoria generale della razionalità e della scienza, quanto perchè con la sua opera la filosofia siamo certi che non resterà un affare tedesco.

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Voce della critica

Dei rapporti difficili tra filosofia e scienza nell'Italia del Novecento si è discusso infinite volte: in sede storiografica, sul piano della polemica culturale, avendo di mira case studies ben individuati o puntando a più ambiziosi modelli interpretativi che da Vico arrivano al neoidealismo, distribuendo in maniera differenziata le colpe (di Croce, di Gentile, dello spiritualismo, ma anche degli scienziati, dei matematici o dei logici che non hanno nutrito particolari simpatie per la filosofia), e infine attribuendo con vari dosaggi i meriti (di Vailati, di Enriques, di Geymonat, del neoilluminismo negli anni cinquanta e via discorrendo). Si tratta insomma di un terreno controverso, sul quale si continua a scavare con un occhio puntato alla contemporaneità, nella convinzione che non si tratti di un questione puramente storica, ma di un nodo scottante con il quale occorre fare i conti anche oggi, nonostante tante cose siano cambiate dai tempi degli pseudo-concetti crociani e dell'atto puro gentiliano.
Raccogliendo in volume studi composti nell'arco di circa due decenni, Parrini ha voluto sondare questo complesso di questioni su piani diversi. Prima di tutto prende in considerazione il contributo di alcune figure particolarmente rappresentative del trend avverso a quello che, un po' sbrigativamente (ma Parrini difende il diritto a ricorrere alle formule pur di non ridurre tutto a contestualizzazione storica), si può definire l'"orientamento storicistico e umanistico-retorico" della nostra cultura; e in questo senso Giuseppe Peano, Giovanni Vailati, Mario Calderoni, Federigo Enriques, Bruno de Finetti, Ludovico Geymonat, ma soprattutto Giulio Preti (alla cui memoria è dedicato il volume) costituiscono un punto di riferimento obbligato.
In secondo luogo Parrini discute l'impatto sulla nostra cultura filosofica di correnti come l'empirismo logico e la filosofia analitica, segnalando quali sono i motivi che ne hanno comportato una lettura parziale o distorta (come nel caso della monografia di Francesco Barone sul neopositivismo, pubblicata in prima edizione nel 1953) e mettendo in luce, al tempo stesso, quali elementi di novità sono insorti in anni più recenti, in sintonia con il panorama internazionale, sia per quanto riguarda gli sviluppi della filosofia analitica, sia per ciò che concerne le nuove prospettive che guidano oggi la rivisitazione critica di un'esperienza cruciale come quella legata al Circolo di Vienna (e qui Parrini è direttamente parte in causa: si veda il suo volume L'empirismo logico. Aspetti storici e prospettive teoriche , Carocci, 2002). Infine l'autore dedica non poche pagine a discutere il rapporto fra storiografia filosofica e dimensione teorica, nella convinzione che sia una vera e propria "anomalia italiana" la prevalenza della filosofia come storia della filosofia a discapito della filosofia come attività teorica, come argomentazione e invenzione concettuale. Quest'ultimo punto ha pure ricadute importanti sulla maniera di intendere l'insegnamento della filosofia, dal momento che l'approccio puramente storico (ormai degenerato nella confezione di manuali sempre più onnicomprensivi) sembra aver fatto il suo tempo e dovrebbe essere sostituito da una presentazione di autentici "problemi filosofici" sulla base di un metodo "storico-problematico".
Come si vede da questo rapido sommario, il libro affronta un ventaglio di questioni molto ampio, riconducibile tuttavia all'intento "blandamente civile" che fa da trait d'union fra i vari saggi, unendo ricostruzione storica, diagnosi teorica e impegno militante secondo il modello dell'"onesto mestiere del filosofo" teorizzato da Preti. Le pagine migliori sembrano essere quelle dedicate al contributo di figure come Vailati, Enriques, Geymonat e lo stesso Preti. Nel primo caso abbiamo a che fare con una convincente ricostruzione della "modernità" del pragmatismo logico vailatiano soprattutto per quel che riguarda la sua pronta ricezione dell'olismo di Duhem anche sul versante semantico, sebbene rimanga sempre da chiedersi se la lettura "strumentalista" che Vailati faceva di Duhem non tradisca un'intenzione decisamente difforme dal suo autorevole interlocutore francese. Nel caso di Enriques, invece, Parrini sottolinea giustamente alcuni equivoci che gli hanno impedito di comprendere il convenzionalismo di Poincaré, avvicinandolo paradossalmente alla lettura fornitane dal suo "avversario" Croce. Debolezze teoriche di questo genere dovrebbero suggerire maggior cautela nel giudizio sulla figura di Enriques, onde "non incorrere in indebite sopravvalutazioni storiche originate da una scarsa conoscenza delle questioni epistemologiche".
Quanto poi a Geymonat, Parrini ripubblica un articolo apparso nel 1978 sulla "Rivista di filosofia" (scritto in collaborazione con Massimo Mugnai), in cui la prospettiva realistica e materialistico-dialettica dell'ultimo Geymonat viene messa in questione in maniera puntuale, avanzando il dubbio che essa non sia in grado di uscire da una serie di petizioni di principio e non sia all'altezza delle acquisizioni più recenti della "nuova filosofia della scienza" in ordine alla comprensione della dinamica storica e concettuale delle teorie scientifiche. Infine, i saggi su Preti, da leggersi sullo sfondo di quelli dedicati alla diffusione del neopositivismo e della filosofia analitica nella cultura italiana, restituiscono un profilo a tutto tondo dell'impegno teorico di Preti, segnato sia dal tentativo di tenere insieme (con "dosaggi" via via differenziati) la lezione del principio di verificazione del Circolo di Vienna e quella del trascendentalismo neokantiano ereditato da Antonio Banfi, sia da un programmatico intento "sincretistico" (l'esempio più celebre è naturalmente Praxis e empirismo del 1957). A questo proposito Parrini sottolinea come il rimprovero spesso mosso alla filosofia italiana dopo il 1945 di essersi concessa generosamente a ogni sorta di eclettismo e a convivenze troppo audaci debba essere ridimensionato: almeno nel caso di Preti, il collocarsi al crocevia di filosofie diverse non solo è stato fecondo sotto il profilo teorico, ma ha prefigurato un modo di "far filosofia" che, in deroga alla diffusa ma non sempre salutare "esterofilia", può essere proseguito ancora oggi, al di là della dicotomia tra "analitici" e "continentali" che ha precluso troppe volte scambi fecondi.
Parrini si riconosce dunque nell'esempio di Preti, anche se tiene a sottolineare la sua distanza da un trascendentalismo che non tiene conto in maniera adeguata della critica mossa dagli empiristi logici alla sintesi a priori: nel momento in cui essa è spogliata di ogni pretesa di necessità e universalità, cade anche ogni possibilità di attribuire alle condizioni a priori della conoscenza lo statuto di condizioni trascendentali nel senso di Kant o nel senso del "funzionalismo" di Ernst Cassirer. Si può dire che questo sia il punto teorico che sorregge molte delle pagine del volume di Parrini; e almeno in prima battuta gli si potrebbe obiettare che tanta parte del "kantismo analitico" da lui stesso ricordato si gioca proprio sul tentativo di ripensare l'eredità dell'apriori kantiano (e neokantiano, il che non è lo stesso) una volta riconosciuto che esso è solo più, come diceva Preti, "storico-relativo". Una simile operazione sembra però più complessa e chiama in causa problemi intricatissimi come il costruttivismo, la filosofia kantiana (e neokantiana) della matematica, la teoria delle categorie, la nozione di sintesi, la filosofia della mente: bastano insomma le pur cruciali critiche di Schlick e Reichenbach agli inizi degli anni venti per dire goodbye se non a un a priori storicizzato, quantomeno al suo retroterra trascendentale?
Con questo, evidentemente, siamo ben oltre il tema "avventure e disavventure della 'filosofia scientifica' italiana". Parrini suggerisce tuttavia che se non si hanno le idee chiare sulle questioni teoriche, anche l'indagine storica rimane miope, e questa è una delle ragioni per cui la storiografia filosofica italiana ha battuto vie non sempre proficue, favorendo quella mentalità puramente storicistica che avrebbe di fatto osteggiato l'influenza benefica della razionalità filosofica (e scientifica). La parte più agguerrita del libro riguarda proprio questo punto e comporta una polemica (non sempre generosa) con eminenti figure della storia della filosofia degli ultimi cinquant'anni: nel caso, ad esempio, di Eugenio Garin, pare limitativo considerare una "formuletta" la teorizzazione della "filosofia come sapere storico", tanto più che quella concezione della filosofia (discutibile finché si voglia) nasceva dal travaglio filosofico e non puramente storiografico di una generazione uscita dal "paradigma" idealistico.
Beninteso: quando Parrini auspica un "rispettoso e fecondo interscambio fra ricerca storica ed elaborazione teorica" e più volte ribadisce di non voler riabilitare una "storia filosofica della filosofia" è difficile non dargli ragione. Rimane però il dubbio che la sua sfiducia nel lavoro degli storici della filosofia non tenga conto di opportuni distinguo: esattamente come un filosofo teoretico può essere un taciturno "pastore dell'Essere" o un infervorato erede di Rudolf Carnap, così uno storico della filosofia può essere un accuratissimo filologo sospettoso di ogni teoria oppure un originale indagatore di sottili trame concettuali restituite al loro contesto originario; senza dire che vi è una pluralità di oggetti storiografici, e un conto è studiare Pomponazzi e un conto è studiare Russell, così come un filosofo puro necessita di strumenti diversi a seconda che si misuri con i problemi di Sant'Agostino o con quelli di Frege.
Lo stesso Parrini, del resto, riconosce che vi sono sintomi che lasciano "bene a sperare" e cita alcuni esempi (una parte degli studi sulla filosofia antica o le ricerche su Leibniz) che contravvengono al modello storicistico della pura "contestualizzazione". Inoltre è sempre Parrini a farci notare che la filosofia analitica in Italia ha oggi radici più profonde e si nutre di ricerche più solide di quanto non avvenisse in passato, sicché sembrano aprirsi le strade di una "proficua collaborazione" fra impegno teorico e ricerca storica.
Insomma, alla fine il quadro sembra meno negativo di quanto l'autore aveva sostenuto in alcuni interventi di "battaglia" di un decennio fa e lui stesso si dichiara complessivamente ottimista. Con gli amici del contesto il dialogo rimane aperto e gli amici delle idee, per parte loro, sembrano essere apprezzati dai cultori della storia: ciascuno fa il proprio "onesto mestiere" e il modello retorico-umanistico può avviarsi al tramonto. Speriamo sia così. Anche se Parrini sa benissimo quanta "retorica" si annida in tanta filosofia teoretica che si insegna nelle nostre università, magari disprezzando gli storici che si sforzano di capire cosa hanno detto (e cosa hanno ancora da dirci) Descartes, Kant o Husserl.

Massimo Ferrari

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