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La filosofia degli automi. Origini dell'intelligenza artificiale - copertina
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La filosofia degli automi. Origini dell'intelligenza artificiale - copertina

Descrizione


Verso la metà degli anni '50 la cibernetica di Wiener, Turing e von Neumann lasciava il campo all'IA, l'intelligenza artificiale. Ai saggi dei "padri" della cibernetica, si affiancano qui i fondamentali contributi di Simon, Samuel, McCarthy e Minsky, i fondatori dell'IA, che ne illustrano le prime realizzazioni e la portata nell'ambito dei problemi della filosofia della mente. I temi trattati coprono un arco temporale che va dagli anni a cavallo della seconda guerra mondiale alla fine degli anni '60, con aggiornamenti critici dei curatori sui successivi sviluppi dell'IA e i suoi rapporti con le discipline psicologiche nonché sulla recente ripresa delle ricerche nel campo delle reti neurali e del connessionismo.
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Dettagli

1994
4 febbraio 1994
Libro universitario
368 p., ill.
9788833908236

Valutazioni e recensioni

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Massimo
Recensioni: 5/5

Grande Libro, grande il Professor Cordeschi, scritto meravigliosamente, di facile comprensione, molto interessante per chi si occupa di teoria della conoscenza

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Alberto
Recensioni: 4/5

Il libro tratta tematiche molto interessanti, usando un linguaggio che può scoraggiare chi di informatica e fisica è a digiuno.

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Recensioni

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Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1987)
recensione di Mezzanatto, G., L'Indice 1987, n. 6

L'intelligenza artificiale è ormai diventata un programma di ricerca che coinvolge migliaia di studiosi. Tuttavia, il fatto che molti vi siano coinvolti e che quindi vengano perseguiti obiettivi e interessi anche molto diversi fra loro fa sì che sia quasi impossibile definire in modo preciso ciò che caratterizza questo programma di ricerca. Nonostante ciò qualcosa può essere detto per chiarire quali sono le idee principali che hanno guidato la ricerca in intelligenza artificiale dagli anni '50 in poi e qual è o quali sono i paradigmi scientifici e culturali all'interno dei quali essa può essere adeguatamente compresa. Con questo obiettivo la prima cosa da fare sembra risalire alle idee che hanno ispirato i cosiddetti padri dell'intelligenza artificiale (Minsky, McCarthy, Newell, Simon ecc.) e cercare di specificare quali siano gli aspetti che accomunano e differenziano l'i.a. rispetto al programma di ricerca che di solito viene considerato suo precursore, quello della cibernetica classica. La seconda edizione dell'antologia "La filosofa degli automi", presentando affiancati alcuni testi fondamentali dei padri della cibernetica e dei fondatori dell'i.a., rappresenta in questo senso un contributo notevole e può essere fonte di interessanti riflessioni.
Uno dei motivi per cui l'i.a. viene associata alla cibernetica è il fatto che in entrambi i programmi di ricerca l'obiettivo principale era ed è quello di costruire modelli (anche materiali) degli organismi viventi, o almeno di qualche loro funzione. Secondo Rosenblueth e Wiener "un modello materiale è la rappresentazione di un sistema complesso ottenuta mediante un altro sistema, che, per assunto, è più semplice ma ugualmente possiede proprietà simili a quelle che, nel sistema complesso d'origine, sono state scelte come oggetto di studio" (pag. 78). Ad essere oggetto di studio, in questo caso, sono diverse funzionalità degli organismi viventi, che nella cibernetica classica erano simulate da modelli meccanici, in particolare dai cosiddetti servomeccanismi, ed in i.a. da programmi per calcolatori digitali.
All'inizio degli anni '40 i padri della cibernetica (Wiener, Craik, Rosenblueth, Bigelow ecc.) sottolineavano la differenza fra meccanismi in grado, come gli organismi viventi, di entrare in relazione ciclica con l'ambiente e meccanismi che hanno nei confronti dell'ambiente un comportamento rigido. I primi, in quanto dotati di retroazione e quindi aperti allo scambio di informazioni con l'ambiente esterno, possono svolgere la funzione di modelli del comportamento umano. Per 'retroazione' si può individuare il fatto che "una parte dell'energia di uscita di un apparecchio o di una macchina viene restituita in ingresso" (Rosenblueth, Wiener e Bigelow, pag. 70), ed è in questo caso retroazione positiva, perché in questo modo i segnali d'ingresso vengono via via amplificati. Si ha invece una retroazione negativa quando l'energia di uscita opera in modo tale sull'ambiente esterno da limitare i segnali d'ingresso. In sostanza, i meccanismi dotati di retroazione negativa, se attivati dall'esterno per il determinarsi di una situazione di disequilibrio, operano per ristabilire l'equilibrio precedente limitando i segnali d'ingresso sino ad annullarli quando quest'obbiettivo è stato raggiunto, momento in cui lo stesso meccanismo si ferma. Secondo Rosenblueth, Wiener e Bigelow "ogni comportamento rivolto ad uno scopo può essere considerato un processo che richiede una retroazione negativa", un processo cioè in cui l'obbiettivo modifica e guida il comportamento del sistema. Questa è la caratteristica principale dei servomeccanismi che dovevano essere i nuovi modelli del comportamento umano e che, secondo Craik, rivelavano anche una "forma semplice di intenzionalità" (pag. 57).
Tuttavia, come sottolinea Cordeschi nell'introduzione, il punto di vista cibernetica aveva, nella descrizione dell'internazionalità, un limite intrinseco, quello di volerla descrivere soltanto attraverso la coppia comportamento osservabile più ambiente esterno (pag. 19); e d'altra parte i modelli materiali di cui si serviva non potevano garantire un approccio molto diverso. Questo limite è chiaro anche nel famoso articolo "Comportamento, scopo e teleologia" di Rosenblueth, Wiener e Bigelow contenuto nell'antologia, in cui vengono nettamente distinti due metodi di studio di un oggetto o sistema: il metodo comportamentistico ed il metodo funzionale. Ora, mentre nel primo caso l'oggetto di studio sono tutti i cambiamenti di un'entità rispetto al suo ambiente, in un'analisi funzionale "l'oggetto principale è l'organizzazione intrinseca dell'entità studiata, la sua struttura e le sue proprietà (pag. 68). E gli stessi autori sostengono che, "mentre l'analisi comportamentistica delle macchine e degli organismi viventi è in gran parte dello stesso tipo, il loro studio funzionale rivela differenze profonde" (pag. 74). I modelli meccanici della cibernetica potevano essere dei buoni modelli di certi aspetti della relazione tra organismi viventi e ambiente, ma trovavano un limite invalicabile nel fatto che questa relazione è sempre fortemente condizionata dalla struttura e dalle proprietà degli organismi viventi e che dal punto di vista funzionale essi erano ben lontani dall'essere dei buoni modelli.
La svolta decisiva che ha determinato la fine dell'età dei servomeccanismi è stata la nascita del calcolatore digitale, le cui potenzialità in quanto modello materiale di molte funzionalità degli organismi viventi si sono rivelate ben presto molto più ampie. Von Neumann nel saggio del 1958 "Il calcolatore e il cervello" crede di poter individuare nel calcolatore digitale un modello almeno parziale del cervello umano, e si impegna in un confronto, anche quantitativamente dettagliato, delle caratteristiche dei due sistemi. Le macchine digitali si compongono di organi attivi e di organi con funzioni di memoria: nel cervello i primi sono rappresentati dai neuroni, mentre l'esistenza dei secondi può essere ragionevolmente postulata.
Tuttavia, alla fine degli anni '60 lo stato delle ricerche neurofisiologiche sulla struttura e sul funzionamento del cervello e la tecnologia dei componenti dei calcolatori digitali erano così arretrate che queste idee non potevano certamente dar luogo ad un programma di ricerca che avesse come obbiettivo la costruzione di un calcolatore che simulasse nei dettagli l'attività del cervello umano.
Un programma di ricerca che si è rivelato invece molto fecondo negli anni successivi, e nel quale rientra o con il quale forse coincide l'attività dei ricercatori in i.a., è quello della simulazione nei programmi per calcolatore delle attività della mente. Con questo va certamente messo in relazione il sorgere di un nuovo paradigma nello studio della mente, vale a dire di quel paradigma cognitivo secondo il quale la mente umana funziona come elaboratrice attiva delle informazioni che le giungono dagli organi sensoriali. Quindi, nel quadro di una corrispondenza più o meno precisa fra hardware del calcolatore e cervello da un lato e programmi e mente dall'altro, l'interesse dei ricercatori sembra essersi decisamente spostato in questa fase su questa seconda coppia.
I programmi dei sistemi intelligenti che sono stati concepiti a partire dalla fine degli anni '50 e soprattutto dagli anni '60 in poi elaborano l'informazione proveniente dall'ambiente esterno in modo molto più complesso dei servomeccanismi: un sistema di questo genere "è in grado di prendere decisioni, scegliendo fra alternative diverse; in un certo senso, esso valuta la propria attività passo dopo passo, attraverso un processo di rappresentazione interna del problema e di analisi dei mezzi di cui dispone per raggiungere un dato obbiettivo" (Cordeschi, pag. 26). Ed inoltre la memoria e le tecniche di rappresentazione della conoscenza che sono state via via elaborate consentono a questi sistemi di poter utilizzare nella rappresentazione e risoluzione dei problemi informazioni precedentemente acquisite. La risoluzione intelligente dei problemi, infatti, richiede sempre l'uso di conoscenze non direttamente fornite dal problema stesso, ma di cui il sistema, naturale o artificiale che sia, deve comunque poter disporre. Non a caso in tutti questi anni i ricercatori in i.a. si sono concentrati su due temi strettamente correlati fra loro: il tema della risoluzione intelligente dei problemi e quello della rappresentazione della conoscenza.
Fra i saggi contenuti nell'antologia che testimoniano della nascita di questo programma di ricerca, tutti ugualmente interessanti in quanto espressioni dell'orizzonte concettuale in cui si muovevano i suoi fondatori, segnalo il saggio di Newell, Shaw e Simon su "I processi del pensiero creativo". Questo lavoro del 1962 fornisce un panorama ampio e dettagliato di tecniche usate nella risoluzione dei problemi che possono essere effettivamente incorporate in un programma per calcolatore, ma soprattutto si pone il problema di fornire una teoria del pensiero creativo, cercando di dimostrare che l'attività creativa del pensiero non è altro che "una classe particolare dell'attività di soluzione dei problemi, caratterizzata da novità, da non convenzionalità, da stabilità e da difficoltà nella formulazione del problema" (pag. 196).
Difficile dire in che misura i programmi realizzati nei laboratori i.a. siano dei buoni modelli delle attività mentali, ma su una cosa non si possono avere dubbi: l'intelligenza artificiale e le scienze cognitive hanno dato e certamente daranno in futuro un contributo fondamentale alla comprensione della mente.

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