La fila indiana

Um romanzo che ci porta nel Messico più torbido, in una immaginaria città di frontiera chiamata Santa Rita, sporco palcoscenico sul quale va in scena un disarmante gioco di corruzione e disumanizzazione. Irma, assistente sociale con una bambina al seguito, viene inviata proprio a Santa Rita per gestire una situazione complicata che vede protagonisti i migranti centramericani ammassati in centri sociali dalla Commissione Nazionale Migrazione. Nel loro viaggio verso gli USA, infatti, devono attraversare il Messico in cui spietati polleros spesso in combutta con gli organi burocratici e legislativi fanno di loro carne da macello e strumento per arricchire i loro portafogli. La voce dell'ex marito di Irma, rimasto a Città del Messico a guardare tutto dall'esterno, diventa la disgustosa voce collettiva pronta a giudicare, umiliare e schiacciare i migranti, dando vita a scene e ragionamenti che mi hanno fatto inorridire. È un romanzo feroce che svela la brutalità dell'animo umano, l'indifferenza di un mondo che ingoia anche chi, come Irma, cerca di fare la cosa giusta. Tremendamente attuale.

In una località immaginaria del sud del Messico si radunano i migranti (i "pollos") provenienti da diversi paesi del Centroamerica e diretti verso gli Stati Uniti, derubati, stuprati, torturati quando non uccisi dai loro aguzzini, dai "polleros" (altrove detti "coyotes", coloro che si occupano, per somme altissime, di far loro attraversare la frontiera), controllati dai gruppi della malavita locale, fino alle autorità pubbliche preposte alla salvaguardia dei migranti, palesemente conniventi con i trafficanti di esseri umani. Il titolo, "La fila indiana", allude sia al drammatico cammino, da sud a nord, che i migranti devono percorrere per arrivare negli Stati Uniti, sia alla linea gerarchica della burocrazia statale, dove il funzionario di più alto livello cammina davanti, e dietro i subalterni di rango via via inferiore, nell'immutabile ordine della corruzione.

Crudo, spietato, appassionante.