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I «figli» di Hitler. La selezione della «razza ariana», i figli degli invasori tedeschi nei territori occupati - copertina
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Descrizione


Fra i crimini commessi dal regime nazista uno dei più gravi fu quello compiuto in nome della "purezza della razza", che comportò lo sterminio di ebrei, rom, omosessuali e altri ancora appartenenti alle "razze inferiori". In questo progetto rientrò anche il tentativo di "costruire" ex novo la pura razza "ariana" facendo accoppiare soldati delle SS con donne nordiche, ritenute "di buon sangue". Nacquero così all'interno del progetto razziale Lebensborn (fonte di vita) i cosiddetti "figli della guerra", divenuti dopo la sconfitta del Reich soggetti scomodi, avvolti dal silenzio generale, sui quali pesarono per anni la vergogna e i sensi di colpa di nazioni intere. In questo libro, attraverso una serie di saggi di diversi autori, vengono analizzati l'atteggiamento della pubblica opinione, la questione della nazionalità e del mantenimento, le soluzioni proposte a livello istituzionale ai vari problemi dopo la fine del conflitto, dove alla generosità e ai principi umanitari si alternavano troppo spesso espressioni di cinismo impensabili. Da ultimo vengono presentati alcuni casi personali. È infatti nella vita dei singoli "figli della guerra" e delle loro madri che si catalizzano e si sommano le conseguenze degli eventi storici: l'odio e la vendetta dell'opinione pubblica verso il "bastardo tedesco" o "la puttana del tedesco", il marchio di infamia impresso alle donne "fraternizzanti", i silenzi, il rifiuto. Proprio su questa crudele ripulsa poggia il dramma di quelle vite innocenti.
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Dettagli

2007
31 maggio 2007
204 p., Brossura
9788874931125

Voce della critica

Frutto di due convegni organizzati a Oslo rispettivamente nel 2002 e nel 2003, il testo curato da Kjersti Ericsson, professore di criminologia, e da Eva Simonsen, studiosa di pedagogia medica, indaga il tema delle politiche razziali messe in atto dai nazisti nell'Europa settentrionale, ripercorrendo, sino agli anni del dopoguerra, la vicenda drammatica dei "figli della guerra", cioè di coloro che nacquero dalle unioni più o meno clandestine tra i soldati della Wehrmacht e le donne danesi o norvegesi che "fraternizzarono" con gli occupanti. Situate all'estremo opposto del campo di concentramento, le "Case di maternità" del progetto Lebensborn rappresentarono l'altro aspetto – forse meno noto, ma non meno complesso e tragico – della politica razziale nazista, tesa a eliminare i gruppi etnici inferiori, da un lato, e ad assicurare il miglioramento della razza ariana mediante un cinico controllo delle nascite, dall'altro. A conclusione della guerra, tuttavia, coloro che erano nati sotto il segno della svastica e destinati a divenire i dominatori del futuro incontrarono una sorte ben diversa, finendo per essere non solo dimenticati, ma spesso emarginati in quanto frutto di un "seme malvagio" e, come tali, ritenuti un pericolo potenziale per la vita democratica dei paesi da poco liberati. Nonostante l'interesse suscitato dall'ipotesi di partenza – l'intreccio tra politiche contrapposte di esclusione –, il libro dei due studiosi norvegesi risulta tuttavia superficiale nella ricostruzione e nelle conclusioni, quasi del tutto privo di analisi archivistiche, gravemente incompleto (vi è un capitolo sulla Francia occupata, ma nessun riferimento al Wartheland) e, come tale, scarsamente convincente.
  Federico Trocini

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