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Anno edizione: 2004
Anno edizione: 2018
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L'archivista è un minatore: scava e trova gallerie abbandonate, alcune perfino con solide armature. È quello che è successo a Angelo Piero Cappello, che dalla miniera del Vittoriale ha fatto uscire Il fastello della mirra, un inedito che restituisce ai lettori le ultime bozze di stampa allestite per la pubblicazione con la storica Vallecchi nel 1926 e colma la lacuna di un capitolo mancante col ricorso alle prime bozze. Prima i rinvii dell'editore - minacciato da Treves per i diritti - e poi il mutato interesse di d'Annunzio - volto in prospettiva allÆOpera omnia (dal 1927) e a Il libro segreto (1935) - fanno del Fastello un volume mancato che era giusto recuperare e riproporre.
Il progetto si situa tra la fine del 1922 e il 1927, in un lustro attestato dal carteggio inedito con Vallecchi e Eugenio Coselschi, mediatore per la casa editrice fiorentina e già sodale di d'Annunzio a Fiume, le cui lettere sono in parte riportate in appendice al volume edito oggi dalla rinata Vallecchi. Si tratta di una raccolta di passi dannunziani tesi a disegnare una biografia ideale e tratti soprattutto da prose rievocative, dal Proemio alla Vita di Cola di Rienzo e dalle Faville del maglio, dal Venturiero senza ventura al Secondo amante di Lucrezia Buti, dalla Contemplazione della morte, dalla Licenza alla Leda senza cigno, dal Notturno al Libro ascetico della giovane Italia, senza escludere romanzi di più antica data come L'innocente e Le vergini delle rocce.
Cappello, pur riconoscendo il lavoro appassionato di Coselschi, tecnico ma partecipe, situa il Fastello in una più vasta progettualità dannunziana che va dal 1922 al 1934 e comprende la Vita di Gabriele d'Annunzio maestro di tutte le arti e di tutti i mestieri, la Favola breve della mia lunga vita, la "somma di esplorazioni e introspezioni" di Erbe, parole e pietre e infine l'approdo del Libro segreto. E fa bene, perché quello che intriga il lettore, e lo studioso, non è il gioco delle attribuzioni ma quanto tale libro nasconde in sé come percorso novecentesco, che muove dall'idea di un'"antologia biografica" e va verso l'"autologia" del Segreto. Si tratta di una progettualità forte, in cerca di una rigenerazione giocata fra vita, memoria e scrittura, che tornerà in tanto e pur diverso Novecento - secolo disperatamente autobiografico - e che non possiamo bollare, come fa Vittorini, maestri cercando, nell'ottobre del 1929, in apertura di Diario in pubblico (1957); un'autobiografia fatta anch'essa di brani, di frammenti diaristici e saggistici, quasi un romanzo di vita che denuncia: "d'Annunzio era finito miseramente in se stesso, ripetutosi, esauritosi spontaneamente".
Il fastello della mirra, letto come preistoria del Libro segreto, ma anche come storia in sé conclusa di un progetto autobiografico nuovo e diverso, ci racconta un'altra fine, in linea con quanto avviene in Europa intorno al "caro io" - direbbe Musil - fra anni venti e trenta, a partire da scrittori nati fra anni sessanta e novanta dell'Ottocento, fra Barrès e Gide, Pasternak e Mandel'stam, per esempio. Ma possiamo pensare anche a Gottfried Benn e a quanto ha potuto trarre dalla sua opera Jürgen P. Wallmann in Pietra, verso, flauto (1979), rispondendo all'idea benniana che chi non vede più connessioni può ancora procedere solo per episodi e traendo da prose e lettere una scelta di brani e citazioni raggruppati per temi che costituiscono anche un percorso esistenziale che si rigenera e spiazza: "Abbiamo vissuto qualcosa di diverso da ciò che eravamo, scritto qualcosa di diverso da ciò che pensavamo, pensato qualcosa di diverso da ciò che ci aspettavamo, e ciò che rimane è qualcosa di diverso da ciò che avevamo in mente".
Le frasi citate, in sé, non sono dannunziane, come non è veramente dannunziano il tempo di chi in quelle righe cerca il paradosso, incrociando e evadendo magari il saluto al nazismo e la fascinazione dello stato totalitario. Ma il sentimento che vi si respira non è lontano da chi riconosce - negli anni dell'avvento al potere del fascismo - di aver vissuto lontano da sé per sette anni, tra Grande guerra e Fiume. Rintanato nella villa di Cargnacco, poi Vittoriale degli Italiani, un po' come Benn, anni dopo, fra le macerie di Berlino, d'Annunzio dice a modo suo: "Abbiamo vissuto qualcosa di diverso da ciò che eravamo". E per riappropriarsi del suo vero vissuto e scritto pensa al Fastello.
L'antologia, allora, è quasi un esorcismo e non un passo verso lÆOpera omnia; ed è un'intuizione lontana dalla cattiva politica e soprattutto dai percorsi predefiniti di un'autobiografia totale, se non totalitaria. Perché la nuova occasione di vita e d'arte, per d'Annunzio, è anche l'ultima. Lo sa bene. Nel tardo autunno 1925, scrive a Vallecchi: "È giusto che Il fastello della mirra sia un libro postumo". Dietro questa considerazione è lo sconforto per i continui rinvii dell'editore ma è anche il proposito di guardare alle proprie pagine come le guarderebbe un altro.
L. Curreri insegna Lingua e letteratura italiana all'Université de Liège
Riferimenti bibliografici
Gottfried Benn, Pietra, verso, flauto, a cura di Jürgen P. Wallmann, ed. it. a cura di Gilberto Forti, Adelphi, 1990.
Massimo Cacciari, Dallo Steinhof. Prospettive viennesi del primo Novecento, Adelphi, 1980.
D'Annunzio segreto, atti del 29° Convegno di Studi del Centro Nazionale di Studi Dannunziani, Ediars 2002.
Giulio Ferroni, Dopo la fine. Sulla condizione postuma della letteratura, Einaudi, 1996.
Elio Vittorini, Diario in pubblico, Bompiani, 1991.
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