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L'analisi svolta da Cordova ha il pregio di fornire spunti di riflessione validi oltre i confini geografici entro i quali egli ha collocato il suo oggetto di studio. Ci conferma inoltre alcune tesi generali sul fascismo italiano, mentre ne incrina altre. Anzitutto, è evidente come il movimento mussoliniano non fosse affatto omogeneo sull'intero territorio nazionale, quanto a composizione sociale e a tattiche di conquista e monopolio dello spazio politico. Tra il Centro-Nord e il Sud d'Italia profonde sono le differenze economiche e sociali, ancor più lo erano negli anni venti, così che le modalità di nascita e sviluppo dei Fasci di combattimento inevitabilmente variarono. Dallo studio del caso calabrese emerge poi indirettamente l'importanza che ebbe la lotta di classe nella genesi del fascismo e nell'attribuzione a tale movimento di una relativa autonomia rispetto ai potentati locali. L'economia precapitalistica di molte aree del Mezzogiorno non favorì infatti l'affermazione di sezioni provinciali del Pnf, spesso create solo all'indomani della marcia su Roma tramite l'intervento del ministero dell'Interno e dei prefetti. Non potendo basarsi sull'antibolscevismo militante e sull'azione squadristica, data la scarsa consistenza del sindacalismo socialista e popolare, i fascisti calabresi, ad esempio, ebbero il solo combattentismo come carta da giocare. Una carta inseribile benissimo nel mazzo di altre forze politiche, specie quelle del notabilato liberale. In breve: le vicende narrate, per quel che riguarda la Sicilia, nel Gattopardo, si ripeterono in Calabria dopo il 1922. Questo volume conferma infine l'importanza degli studi di storia locale nella comprensione del fascismo come fenomeno generale, per concludere che modernizzatore il fascismo fu, ma sempre in modo parziale, e spesso suo malgrado, e che totalitario il fascismo stesso volle, ma non poté, esserlo fino in fondo.
Danilo Breschi
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