A differenza di molti autori di un solo libro, che riscrivono di continuo la stessa opera perché non possono più farlo per la prima volta, Eugenio Baroncelli si è garantito dai rischi della ripetitività (e della coazione a ripetere) orchestrando negli anni un libro-labirinto potenzialmente inesauribile, un organismo modulare, seriale e metamorfico, al quale è possibile aggiungere nuovi pezzi ad libitum o i cui singoli tasselli si possono variare indefinitamente. L'ultima tappa, Falene, aggiunge così alle precedenti altre 237 piccole biografie-fiume (esattamente come i piccoli romanzi-fiume della Centuria di Manganelli, quell'ordigno narrativo di prodigiosa brevità e vertigine che sarà forse da rubricare tra gli antecedenti delle vite e delle morti in due o tre pose di Baroncelli), da leggere come un ampliamento della vasta enciclopedia di personaggi noti e meno noti a cui l'autore attende ormai da almeno sette anni e insieme come un'esplicitazione di metodo e di intenti. I titoli, per cominciare: nel 2008 è stato Libro di candele, due anni dopo Mosche d'inverno, adesso Falene. Tre immagini di tremula labilità, e altrettante figure dell'impermanenza, elette a emblema di un genere che per statuto dovrebbe intrattenersi con la durata, se non proprio con l'immortalità. Il paradosso di Baroncelli, che è al tempo stesso un'aporia e una sfida, sta tutto qui: è quello di un biografo-incisore che scava poche linee nel caso e nel caos di una vita non per estrarne il disegno essenziale, ma per svelarne la definitiva incompiutezza. Così procede anche la sua scrittura, dove la brevitas ammanta ogni frase di lampeggiante sentenziosità e dove ogni sentenza smentisce o capovolge quella che la precede. Non per niente è il pendolo dell'ossimoro a regolare l'andamento e l'esito delle 237 vite di artisti, re, inventori, improbabili rivoluzionari, cospiratori e condottieri, che il sottotitolo qualifica come "quasi perfette": una definizione, forse l'autore non se ne è accorto o più probabilmente l'ha taciuto, che è essa stessa il più eclatante degli ossimori. Anche se tornano, a mettere ordine con un criterio vagamente tassonomico nell'eterogeneo catalogo baroncelliano, categorie già usate in Libro di candele come titoli delle sezioni o dei capitoli in cui era articolato il libro (Fantasmi, Predestinati), in quest'ultimo più evidentemente che negli altri il filo d'Arianna è quello della doppiezza o quello conseguente della reversibilità. Di acqua e fuoco muore Empedocle, "quando, lui che assicurava di essere stato anche un muto pesce che sorge dal mare, si inerpicò sul maestoso Etna e, arrivato in cima, si inabissò nella sua bocca ardente"; di musica e silenzio sono tramate le canzoni di Chet Baker e la Turandot di Giacomo Puccini, incompiuta come il suo creatore, per cui Toscanini, che la dirige la sera della prima, "getta la bacchetta nel punto esatto in cui la morte ha interrotto tutti e due, l'autore innamorato fino alla fine della sua musica e la schiava innamorata senza speranza del suo principe"; di infamia e di gloria è la vita di John Wesley Hardin, il leggendario pistolero texano che da assassino diventò avvocato. Ma tra vittorie perdute e perdenti di successo, morti due volte e immortali senza saperlo, eguali differenti e redivivi recidivi, la maggior parte di queste labili falene sembrano eseguire altrettante variazioni, in una luce di rassegnato scetticismo, sul borgesiano Tema del traditore e dell'eroe, come se ogni vita fosse un rebus talmente misterioso nella propria singolarità, o talmente irrilevante nella propria equivalenza con qualsiasi altra vita, da poter ammettere contemporaneamente una soluzione e quella opposta (e nella forma di rebus o di indovinelli si presentano per l'appunto le diciassette biografie di personaggi senza nome riunite nell'ultima sezione di Falene, intitolata Chi è?). Acquattato al centro di questo labirinto di specchi, anche Baroncelli gioca a raddoppiarsi, impersonando simultaneamente il ruolo del cacciatore e della preda. La sua vertigine dell'alterità non è che il rovescio dell'impossibile ricerca di se stesso, come del resto aveva confessato fin dall'Incipit di Libro di candele: "Questo libro (
) dimostra vera una legge malinconica: che non c'è scrittore più autobiografico del biografo". Tra i pochi nomi che ricorrono da un libro all'altro, accanto a quelli di Melville, de Sade, Pierre-Auguste Renoir e di un'impressionante teoria di suicidi (Marina Cvetaeva, Paul Celan, Walter Benjamin), gli unici a figurare sistematicamente sono quelli di una misteriosa Diana G. e di Jolanda Mazzotti, convocata la prima volta come "madre dell'autore", poi come "madre di un altro". E Mario Baroncelli, il padre mai conosciuto già biografato in Libro di candele, compare per tre volte tra le falene di quest'ultimo catalogo, fantasma sfuggente che un epitaffio solo non basta ad afferrare. Quanto all'autore, dopo essersi ritratto in Libro di candele tra i fumatori di sigaro e i cercatori di sogni, si rivela qui nella sua vera consistenza e svela al tempo stesso le sue ragioni di scrittore: "Arrivato a un'incerta età della sua vita, inciampò in un sospetto. 'Possibile che io sia reale?', si domandò. Credendosi finalmente irreale, pensò: 'O sono già morto o non sono mai nato'. Voi cosa avreste fatto? Lui si mise a riempire le vite portentose e vuote degli altri uomini. Esauriti gli uomini, si diede alle biografie dei fiumi e delle stelle, vocazione comune agli infelici". Può darsi che i prossimi segmenti dell'unico libro di Eugenio Baroncelli saranno biografie di fiumi e di stelle. Ma non dissiperebbero il sospetto che il loro autore scriva per trovarsi nell'unico modo che gli è concesso, ossia sparendo nel suo libro, come "sparito nel suo libro" è l'anonimo e riconoscibilissimo scrittore dell'ultima sezione di Falene. E nel caso questi indizi non bastassero a fare una prova o a costituire una genealogia, è lo stesso Baroncelli a consegnare al lettore la chiave del suo enigma, affidandola al più veritiero dei suoi innumerevoli alter ego: Robert Walser, "l'uomo che entra in tutti i miei libri". In una epigrafe di Outfolio, Walser è "l'uomo che non voleva essere ricordato"; in Libro di candele riempie "i suoi giorni di fallimentari tentativi di suicidio" e "i suoi fogli di letterine illeggibili" scritte esclusivamente a matita perché svaniscano con lui; in Mosche d'inverno muore "imbiancato dalla neve, su cui ha lasciato quell'illeggibile stenografia di orme", in una delle sue passeggiate quotidiane nel parco del manicomio di Herisau. In Falene compare quattordici volte, a suggellare quasi ogni sezione in virtù dell'ordine alfabetico e di un'insindacabile elezione. Mite, misterioso, straniero ovunque e disponibile a tutto, irremovibile nell'unica impresa alla quale abbia aspirato: ossia vivere senza avere una vita, scrivere storie casualmente immortali, dimettersi "dal predominio dell'eccezionale", godere i piaceri dell'infelicità. È lui l'uomo più consapevolmente doppio di tutti questi doppi inconsapevoli. È la sua quasi vita l'unica vita davvero perfetta. Beatrice Manetti
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