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Un etnologo nel metrò
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Dettagli

6
1992
1 dicembre 1992
104 p.
9788885861534

Voce della critica

AUGé, MARC, Un etnologo nel metrò
(recensione pubblicata per l'edizione del 1992)

AUGé, MARC, Nonluoghi
recensione di Belpoliti, M., L'Indice 1994, n. 6

Prima che un mezzo di trasporto, la metropolitana di Parigi è una mappa, quella delle linee e delle stazioni di transito, un reticolo di corrispondenze e incroci, qualcosa d'invisibile che s'imprime nella mente dei viaggiatori abituali o si materializza invece in un pezzo di carta consultato in modo febbrile dai passeggeri saltuari.
Rete, reticolo, nodo, sono tutte parole-immagini che compaiono a più riprese nel libro di Marc Augé "Un etnologo nel metrò", a partire dalle linee sottili della mano, mappa quasi indecifrabile dove sarebbero scritti i destini e gli intrecci degli uomini e delle donne, paragonata a quella delle linee intersecate del metrò. Del resto, questo fitto reticolo, che aborrisce le ortogonali a vantaggio delle curve, semicurve o delle linee spezzate, ricopre la stessa mappa della città superiore come una tela di ragno che s'imprime nella mente dei passeggeri - geografia sotterranea, la definisce Augé, in cui si rappresenterebbe la geologia interiore degli individui. Quella fermata, quella linea, quella corrispondenza, quel "luogo", nomi che scorrono veloci sulle pareti delle stazioni, o si susseguono sui tabelloni blu e bianchi, e che sono collegati a fatti del passato prossimo o remoto, a momenti dell'infanzia, della giovinezza, dell'età matura, a eventi amorosi, di studio o lavoro, a microepisodi o a fatti storici: nomi di battaglie, di soldati, ministri, politici, scrittori, in un groviglio di percorsi oscuri.
Marc Augé, che è uno dei più valenti antropologi contemporanei, africanista, autore di libri, studi e voci d'enciclopedia - le belle voci dedicate alla religione nell'"Enciclopedia Einaudi" -, ha ripercorso quel "luogo" inconsueto e misterioso che è la metropolitana parigina alla ricerca di una possibile antropologia della contemporaneità, compito arduo con cui, sinora, si erano cimentati sociologi e psicologi, con risultati alterni. Quello che Augé ha di diverso, e il libro lo dimostra, è l'attenzione allo spazio, ai luoghi, e non tanto ai comportamenti o ai costumi; la sua si potrebbe infatti definire un'"antropologia dello spazio", una ricerca intorno a una delle dimensioni meno esplorate del nostro mondo, sebbene sia quella che abitiamo con maggior insistenza. In questa esplorazione, l'etnologo è in buona compagnia; lo hanno preceduto, e lo accompagnano, gli studi di Paul Virilio, lo studioso di dromologia e percezione, o gli scritti di Georges Perec, "Specie di spazi", ma anche "La vita istruzioni per l'uso". La mappa del metro con cui si apre il breve volume, che si avvale di una scrittura tesa, efficace e insieme elegante, è l'emblema visibile di un mondo invisibile che si dà solo per astrazione e per piccoli eventi, per mosse e scarti quasi irrilevanti. La carta domina anche il ricordo, quella appesa nell'aula scolastica o studiata sui libri di scuola, rappresentazione variabile di quello spazio che gli uomini chiamano territorio: la Francia prima della Rivoluzione, quella dopo il Primo Impero, la Francia del 1870... e che s'imprime nella memoria degli allievi fino a diventare un mondo possibile da esplorare lentamente nel ricordo a decenni di distanza. Questo è quello che fa anche Augé, mostrando come il passato - il suo stesso passato - sia "un'astrazione, nel migliore dei casi una ricostruzione"; questo è diventato nell'immaginario dei parigini, popolazione insediata lungo le rive della Senna, il metrò: la mappa da decrittare tassello per tassello, o meglio linea per linea, incrocio per incrocio, nome per nome.
Chi cercasse nel libro topologico di Augé un ritratto della popolazione metropolitana, resterebbe deluso; e non c'è neppure un'etnologia della "folla solitaria", per quanto, con icastica definizione, lo studioso definisca il metrò "la collettività senza festa e la solitudine senza isolamento". Augé è invece alla ricerca di quei "fatti totali" che gli antropologi del passato hanno creduto di trovare presso le tribù africane o amerinde, e che invece ora lui cerca presso di sé, scandagliando quegli spazi interstiziali, i luoghi di tutti e di nessuno, che nella modernità sono percorsi da milioni di uomini ogni giorno, senza che di loro resti alcuna traccia. Questa è la metropolitana: lo "spettacolo brulicante dei nodi complicati che legano le linee l'una all'altra, nodi di corridoi e di scale percorsi in tutti i sensi da individui che danno l'impressione di sapere dove vanno". Lui, l'etnologo che aspira all'intimità, esplora questi luoghi che finora solo la letteratura o il cinema avevano raccontato con micrologica dedizione, ed è proprio descrivendo questi spazi che oggi si può "comprendere come il senso della vita individuale nasca da vincoli globali che sono quelli di ogni vita sociale".
La dimostrazione più convincente di questo programma di ricerca, sempre in bilico tra il documento raccolto sul "campo", la riflessione filosofica e persino la narrazione, è nel successivo volume, "Nonluoghi", il terzo, dopo la mappatura del metrò parigino e "La traversée du Luxembourg". Aperto dalla descrizione di un viaggio solitario in automobile e in aeroplano del Signor-nessuno, con tanto di carte di credito, carte d'accesso, biglietti e accrediti elettronici vari, il volume prosegue con una riflessione sui compiti dell'antropologia contemporanea, fulmineo capitolo teorico, cui seguono due capitoli ricchissimi di sguardi sulla contemporaneità. Il termine che Augé usa per definire la nostra condizione è quello di surmodernità, che egli specifica in tre figure dell'eccesso: quella dell'eccesso di tempo, di spazio e di ego. Delle tre, quella che esplora con più ampiezza è la seconda, ed è proprio questo che differenzia "Nonluoghi" dal celeberrimo scritto di Lyotard sulla condizione postmoderna. Cosa sono dunque i nonluoghi? La loro definizione è al negativo, per opposizione a quelli che Pierre Nora ha definito i "luoghi della memoria", quelli in cui noi apprendiamo l'"immagine di ciò che non siamo più". I luoghi sono quelli del passato, insediati nel centro delle città, mentre i nonluoghi sono le tangenziali, le autostrade, le linee ad alta velocità che le circoscrivono e le circondano: la stazione ferroviaria, l'autogrill, il motel, la sala d'attesa dell'aeroporto, il metrò. Per rappresentare in modo tangibile il passaggio dal luogo al nonluogo, Augé ricorre a un testo di Jean Starobinski, che a sua volta legge Baudelaire: la modernità è la città dei campanili e delle ciminiere; la surmodernità è invece lo spazio rappresentato dalle reti, dai nodi, dai punti di scambio della circolazione delle persone, delle merci, dei veicoli. Sono i canali comunicativi che da puri spazi di percorrenza si trasformano in spazi di insediamento: il transito è la vera dimora della surmodernità, si potrebbe dire parafrasando Augé.
Tuttavia, questa distinzione tra luoghi e nonluoghi non è così semplice come sembrerebbe, perché, come scrive l'autore, queste sono "polarità sfuggenti". È stato Michel de Certau, in quello studio problematico e ricchissimo che è "L'invention du quotilien*, a mostrare come il luogo contenga esso stesso anche un nonluogo, perché il nonluogo non è una semplice negazione, qualcosa che si dà per sottrazione.
Del resto quanti luoghi che posseggono quello che un tempo si sarebbe definito il 'genius loci' - celebri monumenti, spazi agresti, giardini e persino montagne - si sono trasformati, a causa del loro uso e abuso, in nonluoghi? Ma è vero anche il contrario, come ha dimostrato il lavoro di uno dei maggiori fotografi contemporanei, Luigi Ghirri: anche i nonluoghi - le stazioni di rifornimento, gli autogrill, i piazzali vuoti, i parcheggi, le vie periferiche, gli stabilimenti dismessi, i paesaggi da cartolina - posseggono un'anima, se solo la si sa vedere. È un problema di sguardo, come scrive giustamente Marc Augé, o meglio di "spostamento dello sguardo". I nonluoghi sono quelli della solitudine, luoghi disabitati, luoghi di transito, luoghi in cui la sosta non si presenta come un atto di meditazione o di riflessione, ma come una pausa lungo un itinerario, spesso reiterato - quello del metr¢, dell'automobile, dell'aeroplano. La ripetizione sembra dominare questi spazi della surmodernità, spazi dove la solitudine si trasforma in monotonia e vi si insedia l'angoscia dell'abbandono. Eppure basta uno sguardo attento, quello di un fotografo, di uno scrittore che appunta sul suo diario una frase, o di un semplice passeggero meditabondo, a rovesciare la negatività dei nonluoghi.

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Conosci l'autore

Marc Augé

1935, Poitiers

Antopologo ed etnologo francese, Augé ha rivestito il ruolo di Direttore di ricerca all'ORSTOM (oggi IRD) fino al 1970, quindi "directeur d'études" presso l'EHESS di Parigi, ha compiuto numerose missioni in Africa, in particolare in Costa d'Avorio e in Togo. Dalla metà degli anni Ottanta ha diversificato i suoi campi d'indagine. Ha quindi compiuto diversi viaggi in America Latina.  Partendo da un osservatorio più vicino, in Francia e in particolare Parigi, si dedica ormai da molti anni alla costruzione di una "antropologia dei mondi contemporanei".La fama in ambito scientifico arriva con le sue ricerche sul campo in Costa d’Avorio e nel Togo concernenti la malattia, la morte e i sistemi religiosi (Le Rivage alladian, 1969; Théorie...

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