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In questo volume, Sergio Cremaschi pubblica la seconda parte della sua storia dell'etica filosofica, di cui nel 2005 è già uscito da Carocci il tomo dedicato all'etica del Novecento (deve ancora apparire la prima parte, sull'etica antica e medievale). Cremaschi parte dalle "dottrine dei riformati, degli scolastici barocchi, degli umanisti cui Grozio reagisce dando luogo alla svolta del 1625 che segna l'atto di nascita della 'nuova scienza morale'" e si spinge fino ai tre autori che a parer suo sanciscono il superamento definitivo del "progetto della modernità", cioè Sidgwick, Durkheim e Nietzsche.
Il protagonista del libro è per l'appunto l'impresa di edificare una scienza dell'etica, che secondo Cremaschi sarebbe sostanzialmente animata dall'intento di "salvare i contenuti della scolastica, cioè l'idea di diritti e norme universali e giustificabili razionalmente, ma su basi metodologiche nuove, inattaccabili dal neoscetticismo", riproponendo la tesi "dell'esistenza di leggi morali oggettive che la ragione umana può conoscere". Questa strategia, conclude Cremaschi, accomuna autori tanto diversi come "Grozio, Pufendorf, Leibniz, Price, Adam Smith, Bentham e Kant" e sostanzialmente consiste nel tentativo di tracciare una terza via fra aristotelismo e scetticismo, ma anche fra scetticismo e calvinismo, o vari tipi di volontarismo teologico. Si tratta del progetto dell'Illuminismo, come si vede anche solo scorrendo gli autori discussi nella seconda parte del volume, divisi tra prosecutori e critici dell'Illuminismo.
L'elemento essenziale, e di pregio, della storia dell'etica di Cremaschi sta nel fatto che l'autore, oltre a una chiara ipotesi interpretativa dell'evoluzione storica dell'etica filosofica, presenta una diagnosi di ciò che a suo parere ha condotto molti dei contemporanei a fraintendere la natura di questo progetto comune di tutta la modernità. Secondo Cremaschi, non si valuta il progetto, ma se ne criticano i presupposti minimali, senza capire le ragioni di questo minimalismo, che stanno appunto nel tentativo di fondare l'etica tenendo conto delle critiche scettiche, a livello sia epistemologico, sia sostantivo. La storia tracciata da Cremaschi mira insomma a riconciliare con il progetto della modernità e a mostrare la vacuità di certe frettolose fughe postmoderne. La conclusione dell'autore in questo e nel volume che precede è all'insegna di un ottimismo provocatorio (almeno per quanto riguarda la teoria): "La morte dell'etica non c'è mai stata, il relativismo etico non è il pericolo più imminente da cui mettere in guardia le giovani generazioni, l'Occidente non è rimasto senza radici". E nel volume sull'etica del Novecento Cremaschi annunciava "il migliore degli scenari possibili: (
) ci troviamo seduti intorno a un tavolo sul quale stanno prevalendo le ragioni della ragionevolezza, quelle che possono essere fatte valere anche quando non concordino le visioni generali, quelle invocate dagli illuministi in nome del sogno di un mondo senza roghi, senza guerre, senza schiavitù".
Ovviamente, anche chi ritenga del tutto condivisibile il quadro d'insieme (come chi scrive), può nutrire dubbi di dettaglio su alcuni particolari. Ad esempio, la preponderanza da Cremaschi assegnata al tentativo di dare vita a una scienza della legge naturale offusca un po' quei paradigmi completamente estranei all'impostazione giusnaturalista, come le varie etiche delle virtù del Settecento e l'utilitarismo classico. O, ancora, l'articolazione dei vari modelli di scienza etica viene presentata tramite le tesi dei vari autori, ma in qualche caso si fatica a coglierne le differenziazioni interne: ad esempio, la distinzione fra scienza dell'etica empirista e scienza sperimentale della natura umana non risulta immediatamente perspicua, soprattutto perché Cremaschi pare limitare il primo modello ai conseguenzialisti teologici pre-benthamiani. Ma il quadro d'insieme rimane chiaro e adempie perfettamente al duplice compito di fornire un resoconto valido tanto per il neofita quanto per l'esperto, cosa che rende il libro utilissimo sia per la didattica, sia per la ricerca.
Le ricostruzioni dei singoli autori sono molto acute, dense di citazioni e sempre caratterizzate dalla capacità di ricollegare l'autore trattato ai suoi predecessori. Inoltre, Cremaschi chiude ogni capitolo con un'efficace, anche se stringata, storia della fortuna e delle riprese, e spesso dei fraintendimenti, degli autori considerati. In molti casi, i profili contengono osservazioni molto acute e letture inedite. Questo soprattutto nel caso di Kant, che da solo occupa trenta pagine del volume. Cremaschi considera l'etica kantiana in tutte le sue sfaccettature, prestando attenzione al ruolo svolto in essa dal giudizio nei casi di conflitto fra doveri e dalla nozione di "virtù": in tal modo difendendo il pensiero di Kant da alcune note obiezioni, secondo cui esso si affiderebbe in maniera meccanica a regole e principi. Ma anche i capitoli su Bentham e Mill contengono notazioni acute e al corrente dello stato attuale del dibattito su questi autori. Il volume si chiude con una ricca bibliografia. Gianfranco Pellegrino
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