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L' estetica di Fichte
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1997
1 gennaio 2005
153 p.
9788878028005

Voce della critica


recensione di Garelli, G., L'Indice 1998, n. 6

Se è vero che "nessun altro movimento, nessun'altra teoria ha contribuito in modo altrettanto determinante a costituire e orientare la nostra percezione del fenomeno artistico, nessun'altra estetica ha influito così profondamente come quella romantica" - e l'osservazione pare tanto più interessante in quanto tratta dalla conclusione del volume di Paolo D'Angelo, noto ai lettori soprattutto per i suoi studi sull'estetica di Hegel e dell'idealismo -, è probabilmente altrettanto vero che un'adeguata comprensione della temperie romantica può avvenire solamente sulla base di un confronto tematico e filologico con la filosofia idealistica, e in modo particolare con quella fichtiana. Qui gli studi in lingua italiana sono stati in passato debitori soprattutto a Luigi Pareyson e alla terza, in questo senso pionieristica, sezione della sua "Estetica dell'idealismo tedesco" (1950), ora ripubblicata in volume autonomo da Carla Amadio, che ben riconosce - nella sua introduzione - la "congenialità" dello studioso Pareyson nei confronti di quel Fichte al cui "Sistema della libertà" aveva dedicato anche un'ampia monografia rimasta incompiuta. Alla domanda iniziale se vi sia qualcosa come una vera speculazione estetica in Fichte, Pareyson risponde che genio, spirito e immaginazione (autentica "radice comune di arte e filosofia") sono le tematiche decisive per comprendere l'influenza che questi esercitò sui romantici.
Meno persuasivo forse, e venato di un certo moralismo davvero "fichtiano", può suonare per il lettore odierno il giudizio di Pareyson sulle conclusioni cui avrebbe messo capo l'interpretazione romantica della nozione di immaginazione, in cui si scorgerebbero i prodromi di un immoralismo vagamente decadente. Ma qui è anche l'agile monografia di D'Angelo (nono titolo, sicuramente uno dei più riusciti, della collana "Lessico dell'Estetica" del Mulino) a venire ora in soccorso del lettore, guidandolo a individuare nella produzione estetica romantica uno "spessore filosofico che in precedenza sarebbe stato difficile divinare", e a non misconoscerne l'elaborazione concettuale proprio in rapporto a pensatori come Kant e Fichte (si pensi, per limitarsi a un solo esempio, alla rivoluzione operata nell'ambito delle categorie estetiche dalla nozione di "attività").
L'introduzione (particolarmente efficace) e i tre capitoli del lavoro - dedicati rispettivamente a "arte fra storia e assoluto", "categorie estetiche", "poetica e critica" - si snodano attraverso un percorso che, nella sua sinteticità, costituisce un'ottima introduzione soprattutto alle tematiche della "Frühromantik". Non senza digressioni tematiche, cronologiche e geografico-linguistiche, e alcuni spunti squisitamente teorici che D'Angelo si limita a enunciare, invitando a un'ulteriore opportuna riflessione: il significato della "storicizzazione" del nostro modo di guardare all'opera come eredità del romanticismo; la questione del nesso verità-bellezza; la necessità di un "distacco" dell'odierna elaborazione estetica da alcuni pregiudiziali paradigmi romantici. Tale superamento, tuttavia, non si potrà presentare nei termini di un'improbabile presa di congedo, ma dovrà mostrarsi in grado di fare i conti fino in fondo, e in modo altrettanto privo di pregiudizi, con l'eredità epocale di tale temperie: anche perché "una storia del lascito del romanticismo finirebbe per coincidere, in larga misura, con l'intera storia dell'estetica otto- e novecentesca".

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