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Anno edizione: 2013
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Un libro pretenzioso e banale. Non solo rivanga un tema per niente nuovo e già battuto da circa un secolo a questa parte, ma non lo fa neanche in maniera originale (come invece fa Hartmut Rosa). Il tutto condito con i soliti luoghi comuni ''filosofici'' della reificazione, dell'alienazione, ecc.
Questo libro puo' piacere solo a chi non ha mai letto nulla di filosoficamente serio e pensa di essersi "elevato" per aver preso coscienza di problematiche che un medio studente liceale alle prese con la materia dimostrerebbe di sapere piu' approfonditamente. L'autore e', tra l'altro, vicino al Vattimo-pensiero, ovvero la grande pataccata contemporanea che si situa come "una nota a margine del pensiero di Nietzsche" (ma forse esagero, accostando il genio con la mediocrita' fatta pensiero). L'unico pensatore italiano contemporaneo si chiama Severino, gli altri finiranno nel dimenticatoio continuando a "dilettarsi" con la filosofia di cui sanno poco e male.
Un bellissimo libro che discute con grande lucidità e rigore le radici storiche e filosofiche dell'accelerazione quasi esponenziale delle vicende socio-politiche e tecnico-scientifiche di questi due ultimi secoli; una accelerazione che ogni uomo ha avvertito e avverte sulla propria pelle come angosciosa fretta esistenziale. Nata con la Rivoluzione francese e la Rivoluzione industriale, oggi l'accelerazione, o fretta, nelle sue tre componenti (sociopolitica, scientifica ed esistenziale), non si protende più, come in passato, verso un futuro ritenuto migliore, ma si rivolge nichilisticamente in sé stessa, svuotata di ogni progettualità per il futuro. Vittime del Mercato globale, che si pasce voracemente del nostro quotidiano tributo consumistico, viviamo oggi in un eterno presente, posseduti da una angosciosa fretta che si avvolge su sé stessa senza speranza in un futuro diverso, perché forse ritenuto peggiore del presente. Una lettura appassionante che arricchisce.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il futuro su cui aveva scommesso la modernit・, "scrutato da noi che veniamo dopo quel futuro", si rivela essersi tramutato, fatalmente, "in un 'futuro passato' che ci siamo lasciati alle spalle". Gli effetti del progresso tecnico, cos・ come l'accelerazione dei ritmi introdotta dalle macchine, diventano letteralmente ingestibili e l'individuo, da loro produttore, ne diventa schiavo; il futuro sembra quindi essere tramontato, e la storia pare essersi pietrificata, "come se il suo 'flusso' fosse andato incontro a un improvviso 'congelamento'". Nell'epoca attuale, che ha smesso di credere nel futuro e nell'esigenza di accelerarne l'avvento, sopravvive solamente una fretta nichilistica, svuotata di ogni intenzionalit・ "futuro-centrica" e sciolta dal riferimento a ogni valore e a ogni progettualit・ trasformativa. Fusaro ha come maestri e ispiratori Enrico Donaggio e Costanzo Preve, ma deve molto anche a Gianni Vattimo. Scrive: "Secondo la formulazione di Gianni Vattimo, il postmoderno deve essere inteso non come un 'superamento' (ワberwindung) del moderno, ossia come una effettiva soluzione dei problemi da esso lasciati incompiuti, ma piuttosto come una consapevole quanto disincantata 'rinuncia' (Verwindung), come una messa in congedo della costellazione moderna in quanto tale: dunque, come una volontaria rinuncia alle promesse inevase della modernit・, in una rassegnata accettazione del mondo cos・ com'・". Fusaro sembra confluire in quella schiera di critici postmoderni che formulano diagnosi severissime, terribili, radicali, accompagnate per・ da una contestuale, convergente e complementare affermazione di immodificabilit・ della realt・ presente. Pur con enorme rammarico, essi ci invitano ad "acquisire consapevolezza", rassegnandoci'・ renderci pi・ tristi e pi・ saggi, lasciando sorgere, negli ''''''''
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