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Gli studi sull'epurazione sono un fenomeno recente: del 1988 è un volume di Mercuri, seguito negli anni successivi da quelli di Woller, Canosa, Bertagna. Anche in Francia appena del 2008 è un testo di Cointet sull'epurazione a Vichy. Di questo tema, legato alla questione dei regimi di transizione, si è occupato di recente il filosofo Jon Elster. E non è certo casuale la contemporaneità di questi lavori con i crolli di vari regimi dell'Est europeo e sudamericani. Poco o nulla, però, si sa dell'epurazione intellettuale, cioè delle pratiche di "bonifica" delle istituzioni culturali che ressero, nel caso italiano, il regime fascista. L'ultimo volume di Paolo Simoncelli affronta questo argomento da un angolo prospettico di grande importanza, quello dei Lincei, che il fascismo aveva accorpato all'Accademia d'Italia e che tornarono a essere tali nel '46. Il ripristino della funzione prefascista, come si legge qui, non fu cosa affatto scontata: vi era chi propendeva per un'abolizione tout court del seicentesco istituto, chi per il mantenimento di un'Accademia d'Italia.
Già dal governo Badoglio, ma poi più decisamente con Bonomi, Parri e il primo De Gasperi, si procedette però a un'opera di eliminazione di personaggi legati al passato regime e, al contrario, di cooptazione tra i soci dei Lincei di figure dall'antifascismo. L'epurazione divenne inevitabilmente azione politica in grado di incidere sulle gerarchie intellettuali e universitarie. Ne esce uno spaccato fondamentale sulla vita intellettuale nella prima transizione dal fascismo alla democrazia. E come nell'epurazione nella pubblica amministrazione, scattarono anche qui le richieste di patronage politico per proteggersi dalle decisioni, le abiure solenni e le condotte meschine. Nonostante il comitato per l'epurazione dei Lincei fosse costituito da personalità come Benedetto Croce e Luigi Einaudi, Simoncelli mostra come in taluni casi la situazione sfuggì loro di mano, a causa soprattutto delle interferenze esterne: non tanto dei politici, ma degli intellettuali che avevano trovato una nuova collocazione nei principali partiti antifascisti. Risultarono così colpiti dall'epurazione accademici che avevano partecipato meno di altri alla vita del regime, ma poco lesti nel trovare una via d'uscita. Furono invece attaccati dagli ultrà dell'epurazione studiosi come il grande antichista Gaetano De Sanctis, tra i pochissimi a essere cacciato sia dai Lincei che dall'università per non aver giurato fedeltà al fascismo, e ora accusato delle più nefande nequizie perché critico nei confronti dei metodi in cui l'epurazione ai Lincei si stava svolgendo. Non ci fu, beninteso, alcun caso Brasillach, anche perché diversi soci epurati furono riammessi qualche anno dopo. Questo non significa, però, che l'epurazione fu blanda. Come altrove, anche ai Lincei la "bonifica" fu soprattutto confusa, intermittente, poco trasparente e con svariati stop and go: finirono per essere colpiti diversi "innocenti", mentre furono premiati molti "voltagabbana" (nel senso del testo di Davide Lajolo), che ritrovarono una verginità aderendo all'antifascismo, anche a quello più radicale.
Marco Gervasoni
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