Emerald underground

La quarta di copertina ed alcune recensioni, mi avevano fatto pensare ad un romanzo in stile Kerouac, un tipico road book; viceversa questo libro occhieggia da un punto di vista contenutistico al David Benioff di “Venticinquesima ora” per l’attenzione posta sull’America minore e dimenticata, quella dei projects e dell’emarginazione dei quartieri a nord di New York e da un punto di vista stilistico a “Trainspotting” per i continui cambi spazi temporali, per i dialoghi surreali e le descrizioni minuziose di momenti intimi e scabrosi. Non è un romanzo facile da seguire non tanto per la complessità della trama (tutt’altro, molto semplice), ma per le storie presenti e passate dei personaggi che si intersecano nella narrazione e per i vaneggiamenti dei protagonisti. Il libro lancia diversi messaggi, ma due in particolare lasciano il segno: lo sport quale via d’uscita dall’emarginazione e guarigione dalle malattie sociali (droga, prostituzione, sfruttamento del lavoro minorile,...), e l’importanza di non mollare anche davanti alle esperienze più drammatiche della vita con la consapevolezza di essere ognuno un po’ “faber suae quisquae fortunae”. Meravigliose, infine, le figure di Pa’ e Setanta, vere catarsi per Liam, un ragazzo diciottenne alla deriva, che irrompono nella sua vita in ogni momento nel quale deve prendere una decisione importante, sferzandolo in modo violento e decisivo.