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Effetto Sherlock. Occhi che osservano, occhi che spiano, occhi che indagano. Storia dello sguardo da Manet a Hitchcock - Victor I. Stoichita - copertina
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Effetto Sherlock. Occhi che osservano, occhi che spiano, occhi che indagano. Storia dello sguardo da Manet a Hitchcock
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Descrizione


Nella Finestra sul cortile, tra i film più celebri di sempre e grande metafora del cinema, il protagonista Jeff, interpretato da James Stewart, spia i vicini dal suo appartamento, fino a imbattersi nei segni di un omicidio. Per Victor Stoichita, uno degli storici dell'arte più autorevoli dei nostri giorni, il personaggio di Hitchcock, voyeur e detective al tempo stesso, incarna le caratteristiche dello sguardo con cui le arti visive, fin dall'avvento dell'Impressionismo, sembrano chiedere di essere osservate. La potenza del «gioco della rappresentazione» chiama lo spettatore, proiettato in un mondo di ostacoli e incertezze, privo di una storia immediatamente leggibile, a farsi Sherlock Holmes, per orientarsi nell'affascinante, densa coltre delle interpretazioni possibili. Fu la «Nuova pittura» impressionista a mettere in luce l'importanza di ciò che nel dispositivo del quadro si sottrae all'osservazione, è fuori campo, nascosto o troppo piccolo per essere visto. Da allora, l'immagine artistica appare di frequente come un «luogo del delitto». "Effetto Sherlock" è dunque un dittico: la prima tavola è consacrata alla rivoluzione dell'esperienza visuale portata in particolare da Manet, Degas e Caillebotte; la seconda esplora - attraverso capolavori quali La signora scompare e La finestra sul cortile di Alfred Hitchcok e Blow Up di Michelangelo Antonioni - la capacità dell'arte cinematografica di realizzare esperimenti sullo sguardo e di proporre uno «spettacolo ottico». Che si parli di pittura, cinema o arte contemporanea, l'«effetto Sherlock» non è allora che l'esercizio intellettuale della rivelazione. Ma se i romanzi gialli si concludono con la vittoria indiscussa della ragione, per Stoichita davanti all'immagine nessun mistero può essere definitivamente risolto. Pur con questa consapevolezza, però, non possiamo non farci investigatori: solo grazie al nostro sguardo indagatore l'arte acquista profondità e senso.
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Dettagli

2017
2 marzo 2017
231 p., ill. , Brossura
9788842823094

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sergio
Recensioni: 4/5

stoichita non delude mai

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I.P.
Recensioni: 4/5

Acquistato per un esame universitario. Il libro è breve e molto scorrevole. Trovo molto interessanti i paragoni tra l'arte impressionista e il cinema, nonché l'analisi della visione e dello sguardo che a partire dal medium artistico più comune, il quadro, si estende ai nuovi mezzi di riproduzione della realtà, come la fotografia e il cinema. Lo consiglio!

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Voce della critica

Victor Stoichita, attraverso lo sguardo

«È questo il brutto, […] che è stato dipinto così per sempre, e noi restiamo qui senza sapere che cosa succede, […] non c’è modo di vedere la faccia della ragazza né della vecchia sullo sfondo, l’unica cosa che si vede è la cicciona con le due collane che non smette mai di prendere la coppa. Che la beva una buona volta, e almeno posso vedere la ragazza, se si gira».

«Nel 1874, anno della prima mostra impressionista, Édouard Manet presenta al Salon di Parigi una delle sue opere. Come sempre, il quadro ha un impatto considerevole, tanto che, a distanza di qualche anno, se ne parlerà ancora: “La ferrovia. Il dipinto ritrae una bambina che guarda attraverso le sbarre di una cancellata, mentre accanto a lei siede la sorella maggiore. Non vi è alcuna ferrovia”».

Un titolo evocativo, quindi, ma che non si riferisce a nulla di realmente visibile. Una narrazione per indizi, con il fumo di una locomotiva – che appunto non vediamo – a invadere la scena e a impedire lo sguardo della bambina con il viso schiacciato contro una cancellata, a cercare di vedere il più possibile. Uno sforzo quasi tangibile che condividiamo con lei, anche noi contro le sbarre e in mezzo al fumo, impediti ancora di più, in questo vedere che è il desiderio urgente di catturare per un attimo quella locomotiva che fra poco sarà già passata, dalla sagoma stessa della bambina. Le ombre delle pieghe del suo vestito prolungano le sbarre di questo non vedere che diventa sempre più estenuante, mentre osservando cogliamo altri dettagli (il nastro nero dello chignon, l’edificio di quella che allora sarà una stazione sullo sfondo). L’unica che vede con chiarezza è la donna con il cappello, che ci guarda con stupore. A lei è concesso addirittura di leggere, e in una pausa da una lettura che immaginiamo tranquilla – non c’è più la tensione della ragazzina e di noi che vogliamo vedere ma l’abbandono di un cagnolino che dorme, e c’è tempo per fermarsi e tenere il segno, con il dito, nel libro –, in questa pausa alza lo sguardo e lei, sì, ci guarda.

Inizia con questo dipinto Effetto Sherlock, con una scena ellittica e densa che assomiglia più al fotogramma di un film che a un quadro della tradizione classica – la stessa che esponeva, dalla prima metà del Settecento, ai Salon dell’Académie des Beaux-Arts proprio per potersi far annoverare in quella tradizione in cui il quadro di Manet si introduceva, silenzioso, come un cavallo di Troia.

Parte da qui l’analisi di Stoichita di quella che egli stesso definisce come «una vera e propria ossessione», a partire dal Seicento: la tematizzazione dello sguardo, e dell’atto di guardare, attraverso la moderna storia delle immagini. Un’analisi, acuta e limpida, che si legge come un romanzo, e che si avvale di una prospettiva che intreccia storia e critica dell’arte e semiotica, in continuità con il resto della produzione di Stoichita (L’invenzione del quadro, per esempio, sempre Il Saggiatore).

È il tema del filtro a consentire a Stoichita di passare senza soluzione di continuità dalla pittura fino al cinema, la più imponente macchina per immagini del nostro secolo. Anche qui, lo fa ricorrendo all’analisi e all’osservazione di casi concreti, due film che sono a loro volta due manifesti sul cinema come filtro, come modalità di apprensione del reale: La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock e Blow-Up di Michelangelo Antonioni.

Recensione di Valentina Manchia.

Leggi la recensione completa su Alfabeta2.it

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