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Un' educazione milanese - Alberto Rollo - copertina
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Un' educazione milanese
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educazione milanese

Descrizione


Finalista al Premio Strega 2017
Presentato da Giuseppe Antonelli e Piero Dorfles.

Vincitore del Premio Letterario Corrado Alvaro e Libero Bigiaretti 2017 e Finalista al Premio Letterario Chianti 31ma edizione 2017/2018


Il romanzo di una città e di una generazione.

«Educazione milanese parla di una generazione [...] ma parla soprattutto di una città. Senza gli accenti patetici della nostalgia, senza alcuna intenzione sociologica, ma con lo sguardo di chi è nato da una famiglia proletaria in periferia, ha condiviso lo scatto utopico e ribelle della sua generazione e oggi si ritrova in un paesaggio radicalmente mutato.» - Simonetta Fiori, la Repubblica

«Cerco ponti in cui lo spaesamento e il sentirmi a casa coincidano. E su quei ponti finiscono con l’apparire, teneri e meridiani, i fantasmi che mi riconducono là dove io sono cominciato e dove è cominciata, per me, questa città.»

Questa è una ricognizione autobiografica ed è il racconto della città che l'ha ispirata. Si entra nella storia dagli anni Cinquanta: l'infanzia nei nuovi quartieri periferici, con le paterne "lezioni di cultura operaia", le materne divagazioni sulla magia del lavoro sartoriale, la famiglia comunista e quella cattolica, le ascendenze lombarde e quelle leccesi, le gite in tram, le gite in moto, la morte di John F. Kennedy e quella di papa Giovanni, Rocco e i suoi fratelli, l'oratorio, il cinema, i giochi, le amicizie adolescenziali e i primi amori fra scali merci e recinti incustoditi. E si procede con lo scatto della giovinezza, accanto l'amico maestro di vita e di visioni, sullo sfondo le grandi lotte operaie, la vitalità dei gruppi extraparlamentari, il sognante melting pot sociale di una generazione che voleva "occhi diversi". A questa formazione si mescola la percezione dell'oggi, il prosciugamento della città industriale, i progetti urbanistici per una Grande Milano, le trasformazioni dello skyline, il trionfo della capitale della moda e degli archistar.
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Dettagli

2016
27 ottobre 2016
317 p., Brossura
9788862667401

Valutazioni e recensioni

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giovanni
Recensioni: 1/5

la lettura di questo racconto (scritto con uno stile letterario per nulla di mio gusto, tranne la prima parte, intitolata proprio 'un'educazione milanese') permette di capire molto bene, a mio avviso, quanto accaduto a molti, della mia generazione (la stessa dell'autore), beneficiati dal privilegio di poter essere 'studenti a tempo pieno' fino alla laurea: si sono 'masturbati il cervello', per anni, nell'ideologia politica, perdendosi in astratti 'fiumi di parole' intellettualoidi, senza accorgersi di diventare (anche quelli con origini familiari di ceto medio-basso) dei 'parolai borghesi', con obiettivi esistenziali meramente egocentrici, senza alcuna utilità e valenza 'sociale' rivolta verso gli 'ultimi'; senza accorgersi di diventare quegli 'intellettuali borghesi' che don Milani non consentiva mettessero piede alla sua scuola, a Barbiana; hanno dedicato tanto tempo – oltre al 'parlareparlareparlare' di ideologismi – a leggere romanzi e poesie... peccato non abbiano privilegiato, invece, la lettura degli scritti di don Milani... le persone presenti nel racconto di Rollo fanno parte di quei 'comunisti borghesissimi' che io, pur facendo parte della stessa generazione', non ho mai stimato

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La Bibliatra
Recensioni: 3/5

Il libro, in realtà, mi è molto piaciuto. È la storia autobiografica dell’autore, incentrata soprattutto negli anni della pre-adolescenza e dell’adolescenza, anni che coincidono con il boom economico e con la rivoluzione studentesca. Fa da sfondo la città di Milano, che lo scrittore ha sempre esplorato, prima con il padre, poi con il suo miglior amico Marco ed infine in solitudine. [...] è scorrevole e si legge tutto d’un fiato. Molto bello, forse lo rileggerei.[...]

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Alberto
Recensioni: 3/5

Ho letto con interesse quest'opera prima (che resterà anche unica ?) di Alberto Rollo incuriosito perchè inserita nella cinquina finale, pur non essendo un romanzo che, a mio modestissimo avviso, già è un NON requisito per un premio letterario. Decisamente di difficoltosa lettura ed interpretazione nelle lunghe pagine in cui l'Autore esprime i suoi sentimenti i suoi desideri le sue opinioni. Non so se volutamente o se per naturale modo personale di esporre sono passi ostici da capire. Interessante i molti riferimenti alla Milano sua città natale e culla di educazione (da cui il titolo che comprende la famiglia ed il contesto di amici e compagni di scuola), sia topografici che della storia recente degli ultimi cinquant'anni, in particolare gli anni'70 definiti di piombo da Montanelli. Giustamente quinto in classifica finale.

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Voce della critica

Con l’attenzione critica di un saggio e la tensione narrativa di un romanzo, il racconto autobiografico di Rollo assume come sfondo culturale della propria formazione la Milano proletaria del dopoguerra. Una grande madre ruvida e senza grazia, fatta di asfalto e ferro battuto, che lo ha nutrito, cresciuto, educato, lasciando in lui tracce indelebili.

Rollo nasce in una famiglia umile. O meglio: “operaia”. Una madre sarta e amante della moda e un padre operaio metalmeccanico che dopo un periodo di lavoro in ditta, decide di aprirsi una propria officina. Le domeniche sono l’occasione per le passeggiate con la Guzzi del papà, autentiche “lezioni di cultura operaia”, dove le fabbriche dei quartieri periferici diventano grandi monumenti da rispettare, luoghi del “fare”, del “creare”, del “sentire la fatica”, piuttosto che del “produrre” o del “rendere”.

Ma la Milano di Rollo è anche quella degli anni 70. Una città animata da speranze, desideri, angosce e piaceri di giovani uomini militanti che guardano al futuro sospinti dal sogno rivoluzionario. Le occupazioni, i cortei studenteschi, la morte di Feltrinelli, le lezioni di filosofia di Enzo Paci, il teatro di Dario Fo, la musica ribelle e carica di eccessi delle rock star americane. Questo è stato il pane quotidiano di una seconda famiglia, un “noi” indissolubilmente unito in un “consorzio di speranze e di idee”.

L’esperienza formativa di Rollo termina simbolicamente con lo sfaldarsi di questa identità collettiva a causa di un tragico evento. Ma d’altronde è anche vero che ogni educazione ha un inizio e una fine e che “una città educa fino a quando l’età permette di essere educati”.

Recensione di Mario Gallucci
A cura del Master Professioni e prodotti dell’editoria - Collegio Universitario "Santa Caterina da Siena” in collaborazione con l’Università di Pavia

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Alberto Rollo, vivere e scrivere

Un’educazione milanese di Alberto Rollo è un libro atipico, come ci comunica, fin dalla soglia, la dialettica tra il titolo Un’educazione milanese, appunto, e il sottotitolo Il romanzo di una città e di una generazione, in un assemblaggio assai peculiare di materiali, dove l’autore ci parla sin da subito di ricordi e di memorie personali e della città dove vive, giocando con forme e scritture, tra i ricordi di egotismo stendhaliani, declinati alla Foscolo, e i modi e i modelli di Berlino-Sinfonia di una grande città di Ruttmann, trasposti su Milano.

Il testo si può davvero leggere come una sorta di sinfonia in quattro tempi; la narrazione si apre con uno squarcio govoniano, quasi crepuscolare: Alberto bambino si perde, mentre è con il padre in piazza Prealpi, nella folla che ascolta alcuni suonatori di fisarmonica. I suonatori sollevano il bambino e chiedono: “Milano lo vuole?”. Questa frase, anfibologica e persino ambigua, diventa insieme alla canzone dei musicanti il basso continuo, il leitmotiv dell’intero libro. Da questa apertura, che svolge anche la funzione di motore narrativo della scrittura, si passa al primo momento, ai ricordi d’infanzia, quando Alberto cresce tra Via Grigna, Piazza Prealpi e Via Mac Mahon, con l’affetto e l’insegnamento dei genitori, la madre sarta e il padre prima operaio, poi impiegato ed infine piccolo imprenditore/artigiano metalmeccanico in proprio, ma sentendosi sempre, in prima persona, lavoratore, la cui cultura è quella operaia del P.C.I.. L’attività della madre, e cioè il cucito, è metafora non solo del testo come tessuto, ma del lavoro ben fatto, dell’attenzione ai particolari, e proprio qui si incontra e si unisce indissolubilmente con l’orgoglio paterno per il lavoro a regola d’arte. In questo viaggio i quadri delle relazioni familiari, di parentela, di amicizia, tra elementari e medie, con i primi passi verso la scoperta del mondo femminile, si legano e si intrecciano con la geografia urbana della città, dove le architetture paiono acquistare un corpo di carne e di sangue: non sono un semplice fondale. Questo primo tratto della vita di Rollo, che mette bene in chiaro le caratteristiche di una educazione milanese operaia, viene raccontato dalla voce narrante secondo le modalità della confessione, del cuore messo a nudo, della scoperta autobiografica. Il momento della gioventù è caratterizzato da una scrittura romanzesca vera e propria, quasi a dirci che è la letteratura a spiegare e a poter interpretare la vita. In quest’ottica pare questo l’unico codice in grado di indagare l’io complesso e di fare in modo che la narrazione della memoria più o meno volontaria si faccia racconto di un apprendistato, di una formazione. In questa sezione troviamo il momento decisivo della fase di crescita giovanile, le amicizie, gli amori, le letture, la cultura diventano esperienze centrali: tutto avviene grazie ad uno sguardo obliquo, ben sintetizzato dall’espressione “Gli occhi diversi!”. L’incontro con il teatro, rappresentato dall’arrivo in Italia del Living Theatre con il suo rivoluzionario Paradise Now, dall’Orlando di Sanguineti-Ronconi, da Strehler e da Peter Brook, esercita un’immensa attrazione su Alberto che scopre un universo espressivo nel quale l’arte serve a interpretare e a modificare il mondo: l’entusiasmo è tale che Alberto riesce ad entrare alla scuola del Piccolo, ma la forza degli eventi politici degli anni 70 allontana il nostro protagonista dal mondo del teatro per gettarlo nel teatro del mondo. È qui che inizia l’amicizia con Marco, il grande amico, che morirà in un incidente stradale e che resterà interlocutore di tutta una vita con la sua presenza dell’assente.

Recensione di Erminio Risso.

Guarda la recensione completa su Alfabeta2.it

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Com’è che si appartiene ad una città? C’è qualcosa di tribale in questa restituzione di identità. E c’è qualcosa di antico nel riconoscere quanto può essere contaminante quell’appartenenza.

Impossibile non paragonare il libro di Rollo al vincitore dello Strega 2016, la “Scuola Cattolica” di Albinati. Entrambi sono romanzi mondo che rappresentano il testamento generazionale dei nati tra gli anni cinquanta e i sessanta.  Per accumulazione vengono rievocati i luoghi di incontro, i punti di riferimento culturali e politici di un nucleo che anagraficamente comincia a sentirsi pericolosamente “passato”.

Le differenze tra i due libri riguardano le città ritratte, Roma per Albinati e Milano per Rollo, nonché l’estrazione sociale dei personaggi. Mentre Albinati ha ricostruito la Roma piccolo borghese degli anni settanta, Rollo racconta la Milano proletaria che si emancipa economicamente dopo il boom. Il punto di partenza è il capitolo in cui l’autore racconta, in un tono quasi elegiaco, di quella “educazione milanese operaia”, da cui avrà luogo quella grande Milano che dominerà l’immaginario italiano, diventando la città operosa per antonomasia, animata da quell’inconfondibile genius loci imprenditoriale divenuto luogo comune.

La specifica estrazione sociale di cui parla Rollo, il proletariato industriale da cui tra l’altro proviene, si è trasformata insieme alla città a livello edilizio, architettonico e socio-economico. La fisionomia dei coscritti della generazione dei Rollo muta insieme alla città soprattutto a livello linguistico, assorbendo il gergo anfetaminico che ha creato i mostri dell’apericena e quegli altri luoghi dell’anima smaccatamente milanesi. Rollo racconta quindi in prima persona questa trasformazione, costruendo un romanzo-mondo generazionale che si snoda lungo un immaginario binario che diffonde a macchia d’olio la propria biografia e soprattutto quella di Milano.

Da capitale morale a capitale della moda, la Milano da bere, che doveva per forza trasformare in oro tutto ciò che toccava, ha smarrito le proprie radici. Da artefice della propria grandezza, Milano è diventata vittima di se stessa. Rollo stesso avverte questo smarrimento. Da giovane sessantottino figlio di immigrati meridionali, innamorato della sinistra extraparlamentare che lottava contro i fascisti di San Babila, è diventato un agiato borghese e un punto di riferimento fondamentale dell’editoria italiana.

Come il quartiere Isola, da sobborgo popolare a ospite dell’alta finanza, sormontato dai nuovi grattacieli che hanno ridisegnato la città. Rollo scrive una biografia che in realtà è la ricerca di un’identità collettiva, l’indagine di una fraternità metropolitana che mai smetterà di legare chi è stato testimone di quella Milano.

Recensione di Matteo Rucco

 

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Alberto Rollo

1951, Milano

Dopo aver lavorato come editor della narrativa italiana e responsabile della collana tascabile di Giangiacomo Feltrinelli Editore, Alberto Rollo è diventato nel 2005 direttore letterario per la stessa casa editrice. Ha collaborato con varie testate nazionali come recensore e con le maggiori case editrici italiane, occupandosi anche dell’area “Grandi opere” per il gruppo De Agostini. È stato condirettore della rivista Linea d’Ombra e ha scritto saggi su vari argomenti per riviste letterarie come Belfagor, Quaderni Piacentini, Letteratura e letterature, Tirature. Ha inoltre lavorato come traduttore di autori inglesi e americani contemporanei come Will Self, Jonathan Coe, Steven Millhauser, William Faulkner. Nel 2016 ha pubblicato, con Manni...

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