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Frey e Stutzer sono tra i principali studiosi dell'economia della felicità, filone di analisi sviluppatosi negli ultimi anni, ma con profonde radici nella storia del pensiero economico. Obiettivo di questa area di ricerca è indagare l'effetto delle variabili economiche e istituzionali sulla felicità individuale, variabile che viene misurata chiedendone direttamente agli intervistati una quantificazione numerica. Questa metodologia, ampiamente discussa nel testo, rappresenta un'innovazione rispetto alla pratica economica che considera non quantificabile l'utilità e concentra l'attenzione sulle scelte reali (accettare o meno un lavoro, consumare determinati beni ecc.), sole espressioni verificabili di preferenze e benessere. L'economia della felicità, così, innova, dialoga con altre discipline, tiene insieme spunti eterodossi su motivazioni e caratteristiche dell'agire umano, ma con l'obiettivo di affrontare anche temi classici, quali i problemi legati all'inflazione e alla disoccupazione. I dati delle rilevazioni sulla felicità mostrano tendenze chiare, confermando alcune verità un po' prevedibili, ma trovando anche nuovi spunti. Chi è povero è poco felice, ma chi è ricco non necessariamente lo è. La disoccupazione crea infelicità, anche se non c'è una contemporanea perdita di reddito (ad esempio grazie a un sussidio); questo contraddice una classica conclusione dell'approccio economico, in base al quale si lavora solo per i soldi. Anche il livello di democrazia e la possibilità di incidere sulle scelte pubbliche hanno influenzato la felicità. Il libro, che aspira a rivolgersi a un pubblico non specialistico, contiene però dei capitoli dal taglio più tecnico che un lettore non esperto di statistica può benissimo comprendere, ma la lettura ne risulta inevitabilmente appesantita. Marco Novarese
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