L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (0)
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Cosa dire di Frida, semplicemente eccezionale... Il messaggio che vuole dare questa grande donna è al di sopra di ogni aspettativa... Assolutamente da leggere,lo consiglio
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Questo delizioso volumetto curato da Maria Cristina Secci, che è anche autrice del saggio Con l'immagine allo specchio. L'autoritratto letterario di Frida Kahlo (Aracne, 2008), giustappone tre magnifici testi. Il primo è di Frida Kahlo, uscito postumo nel 1955. Descrive il Diego Rivera con cui ha vissuto per vent'anni come un "mostro adorabile", un bambinone panciuto, dagli occhi mobilissimi e dalle mani ultrasensibili, strano miscuglio di creatura antica e umanità futura. Frida si rifiuta di lamentarsi per le sofferenze provocate dall'infedeltà di Diego, sottolinea la "compensazione naturale", simile all'equilibrio di "un punto di verde dentro una quantità di rosso", insita nel suo "oscuro ruolo di alleata di un essere straordinario". La diversità e la frizione nella coppia è vista da Frida come salute. Copre i difetti del compagno, lo difende dagli attacchi, lo tratteggia, con i colori intensi di un deserto di cactus sotto il sole, come un genio dall'incontenibile immaginazione, acutissimo osservatore, infaticabile rivoluzionario, curioso di tutto e privo di pregiudizi.
A fronte di un simile appassionato ritratto, l'articolo di Diego, risalente al 1943, ha un piglio più saggistico: inserisce l'opera di Frida nella mirabile fusione operatasi in Messico fra la tradizione artistica spagnola e quella indoamericana, un meticciato contraddittorio tra "un idealismo sensuale e mistico, poi tradotto in realismo oggettivo-soggettivo", individualista e intriso di segni, e "un materialismo occultista e poetico, tradotto in geometria magica", collettivista e intriso d'immagini. La pittura di Frida è un ex voto senza divinità o santi, un "miracolo permanente", "il contenuto vitale sempre fluido, sempre diverso e sempre uguale nella circolazione venosa e siderale". E nel percorso di uscita dalla condizione coloniale avviato dall'arte messicana novecentesca, Frida rappresenta un peculiare e fertile ibrido, in lei "il lato tedesco analista costruttore-distruttore e scettico-allucinato (i geni del padre) ha prevalso ripulendo tutto ciò che era spagnolo e alleandosi con la parte indigena (i geni della madre)". E se ha dipinto sempre la sua vita in una sorta di "autoritratto ricorrente" è perché l'ha penetrata così a fondo da saper esprimere tutte le vite, come una matrice pluridimensionale capace di far coesistere tempi e prospettive. Frida è "un'artista che si è strappata il seno e il cuore per dire la verità biologica di quel che sente".
Proprio da lì parte la poetessa Patrizia Cavalli nel terzo scritto, Dietro non c'è niente, del 2003. Ammette che all'inizio i quadri di Kahlo la respingevano: "Troppi organi e sangue e lacrime, troppa Frida, troppo dolore", opere "troppo invase, quasi sopraffatte dalla materia biografica", come incapaci di reggersi da sole. Poi, però, scatta il riconoscimento di una familiarità, un certo qual sapore a Elsa Morante. Così la legge, la osserva in fotografia, e Frida la conquista. Si chiede allora il perché del "regime di dipendenza" dei quadri dall'esperienza personale: "Com'era possibile che Frida Kahlo, con quel suo viso e quello che scriveva, non avesse nient'altro di meglio da fare che un teatrino autobiografico per immagini o rassegnarsi alla povertà dei simboli?". La risposta viene intuendo che quel continuo trasloco era un malinteso, che a legare vita e opera è "il semplice fatto che sono organicamente uguali", tendono entrambe a "tenere insieme ciò che è diviso, secondo le leggi del legame apparente e dell'unità sostanziale". Il viso dell'artista è "forma condensata", rivela un'intensa compostezza, uno sforzo per contenere l'espressività, senza sorridere quasi mai, un "modo serio – non grave, non malinconico – di risiedere in sé", la "consapevolezza di una salute fragile e un'esuberanza impedita".
Quel cedere di Frida alle circostanze del proprio corpo (persino nel primordiale avvicinarsi alla pittura), lungi dall'essere narcisista, è un "protagonismo illusorio": il suo autoritratto a mezza figura, quasi replica di un marchio ineludibile, sta lì soltanto per far esistere tutto ciò che lo circonda o che sembra fargli da sfondo. Tiene insieme quel che è diviso nel mondo, come le protesi e l'amore tengono insieme, sotto i vestiti ricamati e le complesse acconciature, il suo corpo frantumato, la sua "topografia sconcertata". Non a caso, Cavalli definisce la pittrice una "maestra dei nastri e dei nodi, dei lacci e dei viluppi". Anche questo libro finisce inevitabilmente per riproporre il confronto tra i due poli della straordinaria coppia, che resta diseguale. Si vede anche dalla foto del bacio, a p. 12: lei zampilla, lui assorbe. Lei accarezza, lui sostiene. Lei è la fonte, lui l'applicatore. Alla storia messicana, non solo quella della pittura, passerà lui. Ma verso il mito universale, zoppicando un poco, andrà solo lei.
Danilo Manera
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore