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La questione meridione negli anni ‘50: è passato più di mezzo secolo dai fatti raccontati e cosa è cambiato?
L’interesse di Ottiero Ottieri (Roma 1924-Milano 2002) per la psicanalisi si coniugava con quello per la sociologia, ed entrambi animarono la sua produzione letteraria a partire dagli anni ’50, anni di vivace sviluppo industriale e di apertura verso nuovi modelli interpretativi dei comportamenti individuali all’interno della collettività. Assunto all'Olivetti nel 1953, venne poi inviato a Pozzuoli per seguire la creazione di un nuovo e avveniristico stabilimento, con l'incarico di selezionare il personale. Durante il periodo trascorso al Sud approfondì le tematiche relative al mondo del lavoro, all’alienazione operaia, allo sfruttamento capitalistico. Ne trassero linfa creativa due romanzi che diedero avvio al filone della cosiddetta “letteratura industriale”: Tempi stretti (1957) e Donnarumma all’assalto (1959), quest’ultimo pubblicato da Bompiani, dopo un rifiuto dell’Einaudi, determinato dal giudizio negativo di Calvino. Riproposto da Garzanti in varie edizioni a partire dal 1990, il romanzo rimane il più celebre e celebrato tra i molti usciti dalla penna dell’autore, non solo per le problematiche relative al contrasto tra il progresso tecnico ed economico del nord e l’arretratezza culturale del meridione, ma anche per lo stile spaziante tra il resoconto cronachistico, l’introspezione psicologica e la critica politico-ideologica. Giuseppe Montesano, nella sua analitica ed appassionata prefazione al volume, afferma che “c’è qualcosa di oscuro, in Donnarumma all’assalto, una sorta di sordo brontolio minaccioso che non esplode mai in tempesta”, ed è il contrasto insanabile tra l’irosa sfiducia dei disoccupati che aspirano a un posto di lavoro e “il funzionario che ha fede nella fabbrica-modello, nella razionalità di un nuovo umanesimo e nell’efficacia della psicologia industriale”. Nord contro Sud, specializzazione contro dequalificazione, città contro campagna, progresso contro arretratezza.
Quest’opera è un perfetto resoconto del sogno di un’Italia rinnovata e redenta dopo gli anni bui del fascismo e della guerra. Il dirigente del Nord viene mandato a seguire le assunzioni della fabbrica Olivetti a Pozzuoli, un modello di architettura elegante e funzionale, dove lo accoglie un’umanità ribollente che talvolta lo cattura e talvolta lo esaspera. Ma dopo qualche tempo viene richiamato al Nord, e il seguito (assente nel libro) non è dei più sereni: muore Adriano Olivetti, la fabbrica diventa la sede di istituti universitari e di ricerca, scompaiono gli operai risucchiati nel loro mondo antico e immodificabile. La luce e il candore dei primi anni Sessanta, quando si mescolavano modernità e rigore, si riversano in una scrittura di estrema scorrevolezza (si arriva alla fine della lettura quasi senza rendersene conto).
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