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Una geometria del visibile in un ingranaggio "macchinistico" d'acchito indecifrabile,eppure percepito e movimentato dal respiro,dal vocare della parola pronunciata,letta,alla quale il poeta conferisce pregnanza significante:la voce costituirà l'altra parte della poesia...la lingua poetica è decostruita in un linguaggio aperto a contraddizioni e complessità...lo spazio della vita,diviene lo spazio del verso in tutta la sua dimensionalità cubista..."In questo libro ho costruito una macchina" afferma Alberto Mori.La si potrebbe intendere secondo il funzionalismo di Le Corbusier oppure secondo la visione spersonalizzante e dolorosa di Andy Warhol.Aggiungerei una macchina per abitare lo spazio e il tempo della poesia.
I movimenti della macchina comportano l'applicata successione delle distribuzioni.Alberto Mori,in questo suo testo,si pone in uno stato di sospensione,perché siano i meccanismi a parlare.La luce aurea dei crediti appostati lungo i tragitti bancomat è testimonianza di velocità e transazione di una architettura magnetizzata,disseminata tra tagliandi e valute,codici e interrogazioni.Dove il pertugio che fu all'origine dello scambio? La visione interposta negli stessi gesti,nel blockbuster,quando cumuli plastici si colorano di blu accesi e chiarori fulgidi,induce all'acquisto come via di scampo,sollievo videopronto,soluzione di tiket sparsi. Ci saranno dialoghi fulminei,noleggi tra portachiavi ondeggianti e serie Star Trek per servizio ordini,ma ciò che più divora le cose è nei tratti rapidi,nei sapori espansi,nei filamenti allineati che Alberto Mori addenta. Così il nostro percorso,protetto da una metafora sublimata,aspetta,raggiunge,scompare. Lo sfidare imposizioni comporta rifornimenti illusori,raffinerie notturne,slanci estrattivi,mentre restiamo seduti,prede di un processo distributivo,a guardare la prima pioggia,sotto una luna ancora gialla.
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