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Dispense habermasiane. Sommari da «Fatti e norme»
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Descrizione


I cinque principali capitoli dell'impervio "Fatti e norme" di Habermas spiegati con chiarezza, paragrafo per paragrafo, per introdurre ai grandi temi delle teorie democratiche contemporanee. In appendice il saggio "Movimentismo versus cittadinanza: due modelli radicali di democrazia".
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Dettagli

2
2009
1 gennaio 2009
132 p., Rilegato
9788889909638

Voce della critica

In Italia l'opera di Jürgen Habermas ha seguito una curiosa parabola: recepita entusiasticamente ai suoi inizi, quando era identificata con il marxismo e con la teoria critica prima maniera, a partire dagli anni ottanta ha perso gran parte della sua capacità di suscitare interesse negli ambienti intellettuali. Così, mentre oggi in gran parte d'Europa, negli Stati Uniti, e persino in Estremo Oriente lo studio della teoria habermasiana del diritto e della democrazia deliberativa costituisce ormai uno dei passaggi obbligati per chiunque si accosti alla filosofia politica o alla teoria sociale, in Italia (e in parte in Francia) si pensa che qualche breve articolo o un libro di quarant'anni fa sia sufficiente a farsi un'idea. Sennonché, come insegna Hegel, ciò che è noto non sempre è anche conosciuto. Bene ha fatto quindi Leonardo Ceppa a proporre una riflessione approfondita sui principali motivi teorici dell'Habermas maturo, da Fatti e norme (testo da lui stesso magistralmente tradotto e curato) fino ai più recenti scritti sul postsecolarismo.
Non si tratta di un libro facile, perché affronta problemi di cui in Italia si occupa una cerchia molto ristretta di addetti ai lavori, spesso in maniera settoriale. L'Habermas dei filosofi è diverso da quello conosciuto dai sociologi, quello noto ai giuristi è differente da quello dei teologi. Ma proprio in ciò sta uno dei pregi di quest'opera: illustrare il pensiero di Habermas nell'ampiezza del suo disegno teorico, senza perderne mai di vista i motivi ispiratori di fondo.
Il volume raccoglie saggi suddivisi in tre sezioni: la prima è dedicata alle intuizioni filosofiche di fondo. La seconda affronta alcuni tra gli sviluppi più recenti, primo fra tutti il ripensamento del tradizionale paradigma del secolarismo. La terza considera poi altri autori, come Günther o Teubner, e il loro apporto (di continuità o di rottura) allo sviluppo delle tematiche francofortesi.
Sarebbe però riduttivo vedere in questo libro soltanto una rassegna di temi habermasiani. Accanto alla discussione critica sul maestro francofortese, Ceppa sviluppa un proprio percorso teorico che prende forma lentamente nel corso della lettura, fino a mostrarsi con maggiore chiarezza nella parte finale del volume. La prospettiva da cui l'autore muove è quella di uno studioso italiano di formazione tedesca, studioso di Schopenhauer e Adorno prima, di Habermas e della problematica del diritto nella società globale successivamente, situato nel lacerante campo di tensione tra i due paesi. Commentare Habermas diventa così anche un modo per mettere in risalto, per contrasto, le "strettoie ideologiche" che imbrigliano la cultura italiana in sterili contrapposizioni, come quella tra dialettici e positivisti (che continua a persistere, a volta sotto mentite spoglie, per una sorta di effetto inerziale) o quella, più recente, tra clericali e laicisti. I modesti risultati scientifici che ci relegano (tranne rare eccezioni) ai margini della filosofia e delle scienze sociali contemporanee sono più facilmente comprensibili nelle loro cause se vengono messi in relazione alla nostra peculiare e coriacea impermeabilità nei confronti degli approcci di teoria normativa. Il normativismo di matrice kantiana, infatti, pure così diffuso (si pensi, oltre ad Habermas, a Rawls, a Dworkin, o, nel campo delle teoria della società, a Frazer, Cohen, o Benhabib), è una pianta che fatica a crescere dalle nostre parti, dove, come scrive Ceppa, "qualunque pretesa di trascendenza normativa, universalismo pratico, fondazione razionale, è vista come dogmatica e reazionaria (in questo senso Bobbio diceva che compito dell'intellettuale è 'seminare dubbi')". Occorre, quindi, cercare di mettere in discussione quella sorta di senso comune secondo cui all'esaurimento delle grandi narrazioni della metafisica non potrebbe che seguire la cura estetizzante del frammento, o l'elegante esercizio dell'ironia. Come se chi si lascia alle spalle per sempre la metafisica fosse davvero condannato a rinunciare alla costruzione, fallibile ma ambiziosa, di nessi teorici sistematici, di proposte, di spiegazioni e diagnosi sui problemi nostro tempo.
La critica all'italico disfattismo normativo risalta soprattutto dal modo in cui Ceppa analizza due dei più importanti temi dell'attuale riflessione habermasiana: il nesso tra diritto e politica e il problema del postsecolarismo. La concezione giuridica di Habermas è presentata nel contesto di quella "trascendenza dall'interno" che rappresenta una delle figure di pensiero più affascinanti del teorico tedesco, legata com'è all'idea che l'agire comunicativo contenga, anche nei passaggi più comuni della prassi quotidiana, dei momenti di idealità. La sfida avvincente di pensare una trascendenza tutta terrena con gli strumenti postmetafisici della teoria sociale è un punto su cui Ceppa torna spesso, per mostrare come con ciò Habermas si collochi in uno stretto ma fecondo crinale tra l'idea kantiana di autonomia, ancora prigioniera dell'involucro metafisico, e l'alternativa, altrettanto fallace, dei vari approcci realisti (o cinici che dir si voglia) che, da Hobbes a Nietzsche, cercano l'uscita dalla metafisica nella descrizione riduttiva di un mondo in cui conta solo la forza, e tutto il resto non è che maschera del potere. Dello stesso tenore è il commento al tema habermasiano del postsecolarismo, che l'autore utilizza per un'efficace critica di due fondamentalismi: il fondamentalismo religioso, che non è disposto ad accettare le conquiste di civiltà del proceduralismo giuridico, e il fondamentalismo positivistico, che nel suo riduzionismo scientistico non è in grado di riconoscere il valore, anche per i non credenti, della tradizione religiosa come fonte preziosa di intuizioni morali.
Che la problematica morale sia, in ultima analisi, il centro del complesso edificio teorico di Habermas emerge chiaramente nella terza parte del testo, dove il confronto con la posizione di Teubner consente di toccare alcuni fra i nodi più sensibili della teoria habermasiana. Quest'ultima sezione del libro considera l'alternativa tra due modelli di normatività: quello del cognitivismo morale habermasiano e quello più debole, e riconducibile all'umanismo schopenhaueriano della compassione, che risulta dalla teoria di Teubner. Ceppa sceglie qui una strategia volutamente difficile, che però gli consente di esplicitare al meglio tutti gli aspetti della posta in gioco. Da un lato presenta con precisione le ragioni di entrambe le posizioni, con il fine di cercare i loro possibili punti di contatto. Dall'altra è egli stesso a riconoscere come la prospettiva di Teubner (cui pure il nostro autore guarda spesso con simpatia) rimanga, nonostante tutti gli sforzi di sintesi, sostanzialmente inconciliabile con il cognitivismo habermasiano. La democrazia per Habermas non si limita a essere semplicemente una forma di governo preferibile o opportuna (come direbbe Teubner), ma trae invece la propria giustificazione dal suo legame con la comunicazione linguistica, che pur senza poterci garantire verità e massime assolute, ci offre tuttavia gli strumenti per poter distinguere di volta in volta, fallibilisticamente ma ragionevolmente, tra il vero e il falso, il giusto e l'ingiusto.
Il confronto tra le due concezioni rimane quindi aperto e irrisolto, con numerosi spunti di ulteriore approfondimento che invogliano alla lettura: sia di Habermas che di Teubner.
Walter Privitera

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Conosci l'autore

Leonardo Ceppa

1942, Ivrea

Leonardo Ceppa (Ivrea, 1942) è docente di filosofia e traduttore. Specializzato nella filosofia tedesca del XIX e XX secolo, per Feltrinelli ha curato L’inclusione dell’altro (1998), La costellazione postnazionale (1999) e Tempo di passaggi (2004) di Jürgen Habermas e ha tradotto, con Gianlazzaro Rigamonti, Multiculturalismo, di Habermas e Charles Taylor (1998).

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