Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Disobbedienze. Vol. 1: Gli anni dei movimenti. Scritti sul «Manifesto» 1971-1985. - Franco Fortini - copertina
Disobbedienze. Vol. 1: Gli anni dei movimenti. Scritti sul «Manifesto» 1971-1985. - Franco Fortini - copertina
Dati e Statistiche
Wishlist Salvato in 2 liste dei desideri
Disobbedienze. Vol. 1: Gli anni dei movimenti. Scritti sul «Manifesto» 1971-1985.
Disponibilità immediata
40,00 €
40,00 €
Disp. immediata
Chiudi
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Amarcord Libri
40,00 € + 5,50 € Spedizione
disponibilità immediata disponibilità immediata
Info
Usato Usato - Ottima condizione
ibs
12,26 € Spedizione gratuita
disponibile in 7 settimane Non disponibile
Info
Nuovo
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
ibs
12,26 € Spedizione gratuita
disponibile in 7 settimane Non disponibile
Info
Nuovo
Altri venditori
Prezzo e spese di spedizione
Amarcord Libri
40,00 € + 5,50 € Spedizione
disponibilità immediata disponibilità immediata
Info
Usato Usato - Ottima condizione
Chiudi

Tutti i formati ed edizioni

Chiudi
Disobbedienze. Vol. 1: Gli anni dei movimenti. Scritti sul «Manifesto» 1971-1985. - Franco Fortini - copertina
Chiudi

Promo attive (0)

Dettagli

1997
1 gennaio 1997
248 p.
9788872851326

Voce della critica


recensione di Genovese, R., L'Indice 1998, n. 2

Franco Fortini viveva la professione dell'intellettuale come una sorta di missione religiosa. Di qui il pathos, il tono moralistico rimproveratogli da Pasolini (cui egli, per un periodo non breve, aveva rivolto continui moniti). Ma ciò non spiega la notevole difficoltà della maggior parte dei suoi interventi. L'impressione che mi fanno questi suoi scritti apparsi negli anni sul "manifesto" - l'impressione di uno che lo seguiva ventenne e può dire di essersi formato sui suoi testi sia poetici sia, in senso lato, politici - è di una confusione di alto livello. Io ho nostalgia dei tempi in cui le prese di posizione intellettuali contavano o sembravano contare, dei tempi in cui nei dibattiti ideologici ne andava della propria vita, e che facevano (come Fortini) di un impervio progetto di trasparenza nei rapporti umani e politici l'obiettivo su cui misurare quelle prese di posizione. Ho ammirazione per la sua lunga e coerente milizia, mai tentata dalla menzogna togliattiana e sempre a distanza dal Pci. Eppure, quantunque di alto livello, ciò non toglie che la sua difficoltà mi appaia oggi - e mi apparisse in parte già allora - confusione.
I lavori saggistici possono presentare varie specie di difficoltà. Ce n'è una che deriva dalla concentrazione, dal porre più cose in rapido collegamento, magari per raggiungere l'effetto stilistico proprio dell'aforisma, saltando i passaggi intermedi (e Fortini vi accenna nei pezzi sullo "Scrivere chiaro", da lui già riproposti in "Questioni di frontiera", con qualche variante che ora si potrà utilmente mettere a confronto con i testi originari stampati nel volume della manifestolibri). Ce n'è un'altra che proviene dal mescolare linguaggi specialistici diversi (quello hegelo-marxista con quello freudiano, ad esempio, come nella prosa di Adorno). E ci sono poi difficoltà che nascono dalla spregiudicatezza del pensiero, dall'arrischiare vie inesplorate (quella di un Wittgenstein o, in tutt'altro modo, di un Kant, di uno Hegel); e l'oscurità ricercata, misteriosofica, tesa a produrre un effetto "auratico", propria di uno Heidegger. Ma la difficoltà di Fortini - che del resto non era un filosofo e nemmeno voleva esserlo - non appartiene a nessuna di queste specie.
È una difficoltà, la sua, che spesso si riscontra nel giro sintatticamente aggrovigliato della frase ("Ti sei messo a fare dei periodi lunghissimi che ingarbugliano un po' il tuo pensiero", lo rimproverava già Vittorini in una lettera che si può leggere in questa raccolta), e che vorrei definire "politica" prima che concettuale. È come se Fortini restasse costantemente in bilico tra due possibilità senza riuscire a risolversi né per l'una né per l'altra. Da una parte c'è l'impegno sartriano, universalistico nelle finalità, ma pur sempre pensato a partire dalla "coscienza infelice", dalla condizione particolare dell'intellettuale; dall'altra c'è uno sciogliersi nella militanza politica, con funzioni quasi organizzative di politica culturale, come rappresentante di quella "intellettualità di tutti" che prescinda da qualsiasi specificità del ruolo intellettuale (scrittore, artista, ricercatore). Fortini oscilla tra la figura dell'intellettuale disorganico, che sostanzialmente era, e quella dell'intellettuale organico, che gli sarebbe piaciuto diventare, se la situazione dei partiti e dei gruppi della sinistra non fosse stata quella miseranda che era sotto ai suoi occhi. Di qui, dunque, la tematizzazione della perdita del "mandato" da parte degli scrittori, ossia la fine di quella loro legittimazione politica che in Italia, pur con tutti i suoi limiti, aveva coinciso con la stagione della Resistenza e della poetica neorealista.
E allora è come se Fortini si sforzasse continuamente di riconquistare, su basi diverse da quelle del neorealismo, il "mandato" che considerava esaurito. Ciò determinava una sovrapposizione di piani, una confusione di atteggiamenti, che si traduceva poi in una difficoltà stilistica e di comunicazione: faccio Sartre o faccio Nizan, faccio la coscienza esterna o il militante, sia pure non nel partito comunista ma nella cosiddetta nuova sinistra? E magari, perché no, nel gruppo del "manifesto" o "attraverso "questo gruppo (l'introduzione di Rossana Rossanda al volume sintetizza in maniera accorata la vicenda dei rapporti non sempre idilliaci tra Fortini e "il manifesto"). Faccio Lukács o faccio Adorno? Il propugnatore del realismo, il sostenitore ottimistico di un nesso conoscitivo tra l'arte e la società, e all'occorrenza (stalinismo permettendo) l'organizzatore politico e culturale; o piuttosto l'analista disperato dei meccanismi dell'industria culturale con un occhio alle avanguardie storiche? E su un piano più strettamente letterario, Brecht o Kraus, il furore quasi nichilistico contro la società borghese o la custodia dei sani valori?
Da queste indecisioni Fortini non uscì mai. Così, per esempio, quando fa una proposta "concreta" suggerisce che il giornale non pubblichi recensioni di libri o spettacoli, ma indichi piuttosto un "orizzonte", nel senso di un preliminare lavoro di smontaggio dell'industria culturale: proposta senz'altro interessante e molto "adorniana", ma destinata a cadere nel vuoto se rivolta a un gruppo dalla mentalità gramsciana come quello del "manifesto", teso a costruirsi la sua piccola "egemonia" con le sue piccole recensioni. E la conseguenza sarà che Fortini, adeguandosi, negli anni successivi si metterà pure lui a pubblicare recensioni, indeciso - mi pare anche qui - sullo stile d'intervento.
Il punto è che la milizia intellettuale di Fortini, universalistica per convinzione e particolaristica o minoritaria solo per ingrato destino, era tutta rivolta all'interno della sinistra. Era un impegno per migliorare la sinistra, perché fosse riattivata quella mediazione tra intellettuali e masse tipica delle situazioni rivoluzionarie; mentre sappiamo adesso che, sotto questo profilo e anche sotto gli altri, la sinistra non può far altro che peggiorare, chiusa com'è dentro le "compatibilità" della società occidentale. Il suo rifiuto di Foucault (cioè in sostanza della proposta dell'"intellettuale specifico"), la sottovalutazione della cultura femminista ("le antologie poetiche femministe (...) non mi inducono maggior rispetto di quello che provo delle pitture dipinte coi piedi dai mutilati degli arti superiori", si legge a p. 85), cioè di qualsiasi cultura elaborata a partire dalla propria condizione particolare, sono posizioni del tutto in linea con quell'universalismo e molto interne alla vicenda della sinistra italiana.
Pasolini, invece, l'amico-nemico con cui Fortini ruppe definitivamente solo nel '68 dopo la famosa poesia sugli studenti, aveva sperimentato, soprattutto negli ultimi anni, uno stile d'intervento diretto, in qualche modo paradossale, che non faceva già più della sinistra organizzata il referente o il canale di comunicazione esclusivi, e aveva l'unico scopo di smuovere i punti di vista dei benpensanti. Con questa forma di "disperata vitalità" applicata all'impegno, Pasolini poteva sì sembrare un nostalgico del vecchio Pci (da cui tuttavia era stato cacciato per "indegnità morale" dopo l'"affaire "erotico con dei ragazzini in Friuli) e di tante altre buone cose di pessimo gusto, ma era in realtà uno scrittore che prendeva la parola - si potrebbe dire - a partire dalla sua stessa finitezza corporea.
Ora le lunghe querimonie, le accuse per lo più ingiuste di Fortini a Pasolini si possono leggere in "Attraverso Pasolini "(Einaudi, 1993), e in piccola parte anche qui, nel volume della manifestolibri. Ma ciò che dobbiamo domandarci non è quale dei due abbia più o meno ragione su questo o quel punto, in questa o quella controversia ormai dimenticata: piuttosto chi dei due c'interessa di più, chi ci può essere ancora utile oggi.




1917 Franco Fortini (pseudonimo di Franco Lattes) nasce a Firenze.
1935 Si iscrive alla facoltà di legge dell'Università di Firenze.
1939 Riceve il battesimo dalla Chiesa valdese. Si laurea in legge e si iscrive alla facoltà di lettere. Collabora a "Riforma letteraria".
1941 Viene chiamato alle armi.
1942 Traduce per le edizioni Lettere d'oggi "Un cuore semplice" di Gustave Flaubert.
1943 Si rifugia a Zurigo.
1944 Partecipa alla Resistenza in Valdossola. Si iscrive al Partito socialista.
1945 Dopo la Liberazione, si stabilisce a Milano.
1946 Collabora con "Il Politecnico". Pubblica da Einaudi "Foglio di via e altri versi", la prima delle sue molte raccolte di poesie.
1947 Inizia a lavorare per Einaudi come consulente editoriale e traduttore. Traduce "Poesia ininterrotta" di Paul Eluard; cui seguiranno nel corso degli anni cinquanta testi di Döblin, Gide, Brecht, Proust, Eluard e Brecht. Si reca per la prima volta a Parigi.
1948 Pubblica da Einaudi il romanzo "Agonia di Natale".
1955 Fonda la rivista "Ragionamenti". Viaggia in Unione Sovietica e in Cina.
1957 Pubblica da Feltrinelli "Dieci inverni 1947-1957. Contributi ad un discorso socialista". Collabora con "Officina".
1958 Esce dal Partito socialista.
1959 Pubblica da Garzanti "Il movimento surrealista".
1960 Traduce per Einaudi "Zazie nel metró" di Raymond Queneau.
1962 Inizia a collaborare ai "Quaderni piacentini".
1963 Pubblica le prose autobiografiche "Sere in Valdossola".
1964 Perde il lavoro di consulente per Einaudi e inizia a insegnare nelle scuole superiori.
1965 Cura per Laterza l'antologia "Profezie e realtà del nostro secolo. Testi e documenti per la storia di domani". Pubblica da Il Saggiatore "Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie" (cfr. "L'Indice", 1989, n. 8).
1966 Pubblica da De Donato "L'ospite ingrato. Testi e note per versi ironici".
1967 Pubblica il saggio autobiografico "I cani del Sinai".
1970 Traduce per Mondadori il "Faust" di Goethe.
1971 Inizia a insegnare storia della critica letteraria all'Università di Siena.
1974 Pubblica da De Donato "Saggi italiani".
1977 Inizia a collaborare con "Il Corriere della Sera". Pubblica da Einaudi "Questioni di frontiera. Scritti di politica e di letteratura 1965-1977", e da Laterza "I poeti del Novecento".
1978 Raccoglie le poesie da Einaudi in "Una volta per sempre. Poesie 1938-1973".
1982 Raccoglie da Einaudi alcune traduzioni poetiche in "Il ladro di ciliegie e altre versioni di poesia".
1983 Traduce per Einaudi "Poesie" di Marcel Proust.
1984 Pubblica da Einaudi una nuova raccolta di poesie, "Paesaggio con serpente. Versi 1973-1983" (cfr. "L'Indice", 1985, n. 2).
1985 Riceve il premio Montale-Guggenheim per la poesia. Pubblica da Garzanti "Insistenze. Cinquanta scritti 1976-1984" (cfr. "L'Indice", 1985, n. 2).
1986 Traduce per Einaudi "Nella colonia penale e altri racconti" di Franz Kafka.
1987 Pubblica da Garzanti "Nuovi saggi italiani" (cfr. "L'Indice", 1988, n. 2).
1989 Fa un viaggio in Israele.
1990 Pubblica da Garzanti "Extrema ratio. Note per un buon uso delle rovine" (cfr. "L'Indice", 1991, n. 3).
1993 Pubblica da Einaudi "Attraverso Pasolini".
1994 Pubblica da Einaudi l'ultima raccolta di poesie "Composita solvantur". Muore a Milano.
1997 Escono da Einaudi le "Poesie inedite "(cfr. "L'indice", 1997, n.9) a cura di Pier Vincenzo Mengaldo.

Leggi di più Leggi di meno

Conosci l'autore

Franco Fortini

1917, Firenze

Franco Fortini è lo pseudonimo di Franco Lattes. Poeta e critico italiano, ha insegnato Storia della critica all'università di Siena. Redattore del "Politecnico", fu tra i fondatori della rivista politico-letteraria "Ragionamenti" (1955). Tra le sue raccolte di versi: "Foglio di via e altri versi" (1946), "Poesia ed errore" (1959), "Questo muro" (1973), "Paesaggio con serpente" (1984). Ha scritto anche opere di narrativa: "Agonia di Natale" (1948) e "Sere in Valdossola" (1963). Fortini è autore dei racconti "La casa delle ceneri" (1948) e "Racconto fiorentino" (1956), dei saggi "Dieci inverni" (1957), "Verifica dei poteri" (1965), "Saggi italiani" (1974), "I poeti del Novecento" (1977), "Questioni di frontiera" (1977), "Insistenze" (1985) e "Nuovi saggi italiani" (1987)....

Chiudi
Aggiunto

L'articolo è stato aggiunto al carrello

Chiudi

Aggiungi l'articolo in

Chiudi
Aggiunto

L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri

Chiudi

Crea nuova lista

Chiudi

Chiudi

Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.

Chiudi

Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore