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Questo libro non è una galleria di ritratti biografici, come il titolo parrebbe suggerire. Infatti, voltando un paio di pagine e gustandone la pregevolissima veste editoriale, appare l'inatteso sottotitolo: “l'illustre aberrazione”. Ma cosa mai ci può essere di aberrante in una figura, quella del direttore d'orchestra, da sempre considerata in qualche modo “sacrale” nell 'immaginario collettivo? Davide Bertotti, musicista, scrittore e uomo di studi storici riguardanti anche l’economia, mette a frutto in questo lavoro lunghi anni di libera ricerca, al di là di ogni consuetudine accademica. Viene così alla luce un percorso lungo un intero secolo di storia dell'interpretazione musicale attraverso un'accurata sintesi commentata dei più importanti documenti, alcuni dei quali del tutto sconosciuti in Italia, relativi agli artisti trattati. Emerge così una realtà sconcertante quanto assolutamente oggettiva (e l'autore non potrà mai essere accusato di forzare la mano in qualsivoglia direzione: parlano i documenti, le fonti originali...); la storia della direzione d'orchestra corre grandiosamente parallela alla disgregazione della cultura dell'Europa continentale che si risolverà nella tragedia autodistruttiva dei due conflitti mondiali: la figura del Direttore d’orchestra è un'icona di quel decadimento, spesso tristemente influente nelle più tristi espressioni della cultura nazionalista e socialista dell'epoca. Estremamente curata l'iconografia e l'indice dei nomi: quest'ultimo può essere il punto di partenza per ulteriori ricerche e approfondimenti.
Recensioni
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Il segmento di storia della direzione d'orchestra affrontato in questo libro è peculiare non tanto sotto l'aspetto cronologico quanto sotto quello geografico: nelle sue pagine l'autore sintetizza infatti un secolo di vicissitudini di una professione il cui valore non è stimato in nessuna parte del mondo come nei paesi di lingua tedesca. Considerando la musica l'arte per eccellenza la cultura austrogermanica attribuisce al direttore d'orchestra un ruolo demiurgico che è facile preda delle derive della storia. L'illustre aberrazione è un sottotitolo che non lascia margine agli equivoci: quel che a Bertotti preme raccontare è la tragedia di chi credendo in Beethoven Brahms e Wagner anziché nei loro infidi apologeti tentò di salvare l'Arte dalla degenerazione nazista. Pur partendo da lontanissimo da otto articoli pubblicati da Liszt nel 1835 sulla Gazette musicale de Paris il libro focalizza presto l'attenzione sui meccanismi storico-culturali che finirono per stritolare la carriera e la fibra del massimo direttore della prima metà del Novecento: Wilhelm Furtwängler (un artista a cui la casa editrice palermitana dedica anche una monografia affidata ad Alessandro Zignani).
La sponda da cui la narrazione si stacca è la perdita della committenza aristocratica fenomeno di cui fece le spese Mozart e che costrinse Beethoven a inventarsi un modo nuovo per vivere di musica. Scrivendo otto anni dopo la morte di quest'ultimo Liszt articola in otto punti un progetto di riforma che mira alla creazione di condizioni favorevoli alla produzione e al consumo di musica. Gli anni in cui Liszt prende la penna sono quelli in cui la figura dell'interprete comincia a sovrapporsi e sovente a prevalere su quella del compositore. La figura del virtuoso folgora l'immaginario di un secolo rimasto orfano di eroi dopo l'uscita di scena di Napoleone; non sarà un caso che proprio Parigi città natale dello star system attragga in pochi anni Rossini Meyerbeer Chopin Bellini Liszt Donizetti Verdi.
Quando in questo panorama interviene un personaggio straripante come Wagner le conseguenze sono facili da immaginare. Di questo artista colossale Bertotti sintetizza con efficacia l'unico imperdonabile difetto l'assoluta incapacità di concepire positivamente la differenza da sé. Quando intinge la penna nell'inchiostro per divulgare le proprie idee Über das Dirigieren (Sul dirigere 1869) la storia s'è da poco incaricata di compiere una veronica straordinaria: il ripristino della committenza aristocratica nella vita di un artista troppo ingombrante per non soccombere ai meccanismi del mercato. Al contorno ci pensano l'esercito di Bismarck e quello non meno agguerrito dei bayreuthiani accolita di fedelissimi di cui la morte del maestro (1883) esaspera la mediocrità. L'originalità di Bertotti non risiede tanto nell'assenza di pietà nel bersagliare Cosima Liszt (possibile che la figlia di tanto padre sia stata incapace di comprendere il valore di tanto marito?) quanto nella capacità d'individuare nelle biografie degli artisti attivi nella Germania di fine Otto e inizio Novecento le premesse della tragedia destinata a compiersi nel dodicennio nero.
Hans von Bülow Felix von Weingartner Gustav Mahler Richard Strauss Bruno Walter e Wilhelm Furtwängler sono solo i più importanti fra gli uomini che ciascuno con la propria formazione culturale e la propria sensibilità artistica riuscirono a farsi strada fra il desiderio di rivelare e il dovere di servire la musica. Rovello statutario del mestiere d'interprete questa tensione si caricava – in un ambiente propenso a fagocitare l'opera d'arte in funzione smaccatamente nazionalistica – di significati che trascendevano sovente la realtà del fatto musicale. Bertotti basa le sue argomentazioni su una competenza in cui rientra una conoscenza dettagliata di rare fonti fonografiche e su una bibliografia in gran parte straniera offerta in traduzione per ampi stralci. Il suo lavoro consente al lettore italiano di accedere per la prima volta a un repertorio di memorie cronache ed epistolari di valore inestimabile ai fini della comprensione di una figura d'importanza vitale nella storia culturale del Novecento europeo.
Alberto Rizzuti
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