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Il dibattito proibito. Moneta, Europa, povertà - Jean-Paul Fitoussi - copertina
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Il dibattito proibito. Moneta, Europa, povertà - Jean-Paul Fitoussi - copertina

Descrizione


Un'analisi dei problemi che oggi i paesi europei devono fronteggiare: il riaggiustamento dei conti pubblici e l'incremento della disoccupazione. Secondo alcune interpretazioni, le politiche macroeconomiche comunitarie hanno privileggiato la virtù monetaria e la disinflazione a scapito della perdita di velocità della crescita economica e della conseguente disoccupazione. Tutto ciò avviene sullo sfondo in cui agiscono fattori come l'incremento della tecnologia e l'acuirsi della concorrenza internazionale. Secondo l'autore la causa principale è da ricercarsi nella "tirannia finanziaria" che ha imposto tassi d'interesse troppo alti e una eccessiva rigidità delle politiche economiche.
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Dettagli

1997
264 p.
9788815057723

Voce della critica


recensione di de Brunhoff, S., L'Indice 1998, n. 7

Nel suo "Il dibattito proibito", comparso in edizione originale francese nel marzo 1995, Jean Paul Fitoussi ha lanciato un grido d'allarme sulla disoccupazione di massa, minaccia terribile per la società francese (e non solo per quella). Il suo approccio è critico rispetto al fatalismo della posizione dominante che impedirebbe, per il suo carattere consensuale, di proporre un'alternativa alla politica di "disinflazione competitiva" e di elevato tasso di interesse perseguita in Francia anche dopo l'inizio degli anni novanta, quando quelle misure avevano perso la loro ragion d'essere iniziale. Le critiche a questa politica, formulate ben prima del 1990, da economisti per lo più keynesiani o marxisti, non avevano, si deve dire, ancora perforato il muro del silenzio.
Della politica monetaria francese, orientata dal solo obiettivo della stabilità dei prezzi e del "franco forte" a scapito della crescita e dell'occupazione, Fitoussi presenta, al tempo stesso, una storia, una spiegazione e una critica. Denuncia l'ossessione della "credibilità" monetaria e la soggezione ai mercati finanziari internazionali, dominati da creditori che esigono un tasso d'interesse reale elevato a danno dell'economia di produzione, del livello dei salari e dell'occupazione. Numerosi riferimenti a Keynes fanno da fondamento alla critica delle concezioni dominanti sulla autoregolazione dei mercati, sulle aspettative razionali e sul ruolo economico dello Stato. Una delle prime cause della crescita della disoccupazione sarebbe il livello troppo elevato, da quindici anni ormai, dei tassi di interesse reale rispetto al tasso di crescita del reddito. Fitoussi sostiene che la deregolazione e la globalizzazione del mercato dei capitali dalla fine degli anni settanta hanno sanzionato la pretesa di una redditività elevata da parte dei titolari del capitale finanziario, a detrimento del reddito proveniente dalle attività produttive. In Francia la politica monetaria ha perseguito, dopo il 1990, una politica di tassi di interesse elevati, mentre l'inflazione era stata vinta dal 1986: allo scopo di mantenere la parità con il marco, e persino quando la gestione della moneta tedesca rifletteva i problemi della riunificazione.
Fin qui, nulla da eccepire. Ma il dibattito è veramente portato a fondo da Fitoussi? Quando si tratta di definire gli obiettivi e le condizioni di una politica diversa, che abbia l'occupazione come sua priorità, fanno capolino esitazioni e confusioni. Fitoussi ha appena ammesso che la politica francese era corretta sino alla riunificazione delle due Germanie nel 1990, e aggiunge che gli obiettivi del franco forte, della bassa inflazione, della costruzione europea sono ancor oggi i migliori possibili: sono dunque discutibili non i fini, ma soltanto i mezzi per ottenere quegli obiettivi. Un po' più in là, però, scrive che questi mezzi hanno condotto a un'inversione radicale degli obiettivi della politica economica, con l'occupazione che non è più al primo posto. Che dire. Fini corretti, mezzi inadeguati? O gerarchia sbagliata tra gli obiettivi? Questa incertezza attraversa tutta l'elaborazione di una politica alternativa, in Francia come in Europa.
È possibile una diversa politica economica nel quadro della Comunità europea, con una gestione della moneta unica che sia di miglior appoggio alla priorità che si intende attribuire all'obiettivo dell'occupazione? Questa è la proposta per l'avvenire sostenuta da Fitoussi, che dipende però da un'interpretazione del passato e del presente non convincente. Il filo conduttore del libro è, sin dalle prime pagine, una critica alla tirannia del capitale finanziario, i cui voleri sarebbero stati imposti all'Europa e al Giappone dagli Stati Uniti, nel 1979. Ciò nonostante, Fitoussi vede nella creazione del sistema monetario europeo un atto sovrano degli Stati che vi hanno aderito. Nel 1979, appunto. Ma allora perché questi Stati europei, e in primo luogo la Germania e la Francia, non hanno resistito al nuovo dato finanziario che veniva dagli Stati Uniti?
Che si scelga un corno o l'altro del dilemma, la risposta è di male augurio per la futura politica europea, attualmente incardinata su quella moneta unica a favore della quale si pronuncia Fitoussi. Egli ritiene si tratti di uno strumento per contrastare il predomino internazionale del dollaro, e quindi per ridurre la volatilità dei tassi di cambio. Tutto ciò contrasta però con la storia della concorrenza tra blocchi monetari negli anni trenta di questo secolo. A causa dell'arbitraggio sui mercati finanziari, la volatilità del tasso di cambio tra dollaro ed euro sarà ben maggiore di quella del tasso di cambio tra dollaro e marco. La concorrenza tra le monete si aggiungerà a quella commerciale e finanziaria tra i blocchi. A meno, certo, di una rottura nella politica americana del "benign neglect", e di una nuova regolazione della finanza internazionale. Ma le politiche degli Stati europei hanno introiettato le norme imposte dai mercati, che si riflettono nei criteri di convergenza del Trattato di Maastricht, il quale include anche una clausola fondamentale, quella della garanzia della libera circolazione dei capitali all'interno della Comunità, e tra la Comunità e il resto del mondo: il che, a ben vedere, convalida la deregolazione dei mercati finanziari messa in moto dagli Stati Uniti nel 1974.
In queste condizioni, come è possibile che delle politiche monetarie nazionali sfavorevoli all'occupazione divengano favorevoli per il solo fatto di fondersi a livello europeo? Ci vuole un mutamento radicale di prospettiva, e non delle semplici aggiunte al Trattato di Maastricht e al Patto di stabilità. I salariati, scrive Fitoussi, sono i più colpiti dalla disoccupazione che viene loro imposta, e dalle misure di austerità; in Francia, la divisione del valore aggiunto si muove da più di dieci anni a favore del profitto, di cui si nutre anche la rendita finanziaria. Il rapporto di forza è attualmente favorevole al capitale rispetto al lavoro. Nessuna nuova politica economica che abbia l'occupazione come suo primo obiettivo potrà essere mai messa in piedi senza tener conto dell'interesse dei salariati. E senza mettere in discussione la libertà di movimento dei capitali, che decidono dell'occupazione in funzione delle loro esigenze di redditività elevata e immediata, sotto la pressione dei detentori di azioni, degli stake holder, che hanno preso il predominio, e dei creditori.
La questione dell'occupazione riguarda anche, in realtà, il salario, le condizioni di lavoro, le norme sui licenziamenti, la protezione sociale, in breve lo statuto dei salariati in rapporto alle esigenze attuali degli imprenditori e alle norme di redditività della finanza. Il che vuol dire che un'alternativa al modello anglosassone è ancora tutta da costruire. Fitoussi critica il modello americano: poca disoccupazione ma molti "poveri che lavorano" ("working poor"), salariati mal pagati e precari, una forte diseguaglianza, una debole protezione sociale. Una evoluzione verso questo modello à già in atto in Francia, con il diffondersi del lavoro precario, la variabilità degli orari a seconda delle esigenze padronali, le infrazioni al diritto del lavoro. Non si può oggi eludere la questione di un diverso rapporto di forza tra capitale e lavoro, meno sfavorevole al secondo rispetto a quello che domina dall'inizio degli anni ottanta.
In Francia, il dibattito contro il pensiero unico e per una politica alternativa si è aperto, tra gli economisti, in buona misura come risposta ai grandi scioperi nel settore pubblico dei trasporti che hanno scosso il muro di rassegnazione silenziosa nel dicembre 1995: cioè qualche mese dopo l'apparizione del libro di Fitoussi. Quella che in Francia viene chiamata la "seconda sinistra", che si raggruppa attorno alla direzione della Cfdt, e a cui Fitoussi è vicino, non ha sostenuto lo sciopero dei ferrovieri, considerato corporativo, per la natura pubblica della Sncf e per il carattere "protetto" degli occupati. Ciononostante lo sciopero ha goduto di immenso sostegno popolare, e legami si sono intessuti tra economisti "contro il pensiero unico" e i sindacati in lotta. Successivamente, la discussione si è allargata a scala europea, e così pure il conflitto sociale. La recente proposta francese di una settimana lavorativa di 35 ore ha avuto un'eco favorevole. Ciononostante, la costruzione di una alternativa radicale di politica economica investe anche la finanza, la programmazione degli investimenti, la gestione dei tassi di interesse e dei tassi di cambio, la fiscalità: tutti temi sui quali il gruppo di economisti "contro il pensiero unico" continua a dibattere, con i sindacati, avendo come obiettivo un New Deal, in Francia come in Europa. Uno sbocco politico ai movimenti di resistenza dei salariati e alle proposte di una politica economica permetterebbe di mettere in atto il cambiamento suggerito da Fitoussi nel suo libro, facendo dell'occupazione lo scopo primo di una nuova politica.

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Conosci l'autore

Jean Paul Fitoussi

1942, La Goulette

Jean-Paul Fitoussi è stato un economista francese di fama internazionale. Professore Emerito all'Istituto di studi politici di Parigi (Sciences Po) e Professore presso la LUISS di Roma, dal 1989 ha presieduto l'osservatorio francese sulle congiunture economiche (OFCE). È stato inoltre membro del consiglio scientifico dell'Istituto "François Mitterrand" e del "Center on capitalism and society" della Columbia University.I suoi lavori riguardano principalmente inflazione, disoccupazione, economie aperte e il ruolo delle politiche macroeconomiche.Ha adottato un approccio fortemente critico nei confronti della rigidità nelle politiche di bilancio e di economia monetaria, per gli effetti negativi che queste comportano sulla crescita dell'economia e sui livelli di occupazione....

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