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Il diario di Nijinsky
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Descrizione


Il nome di Nijinsky, l’inarrivabile ballerino del nostro secolo, evoca tutta la leggenda dei Balletti Russi, quella apparizione bruciante e fugace che avrebbe segnato una svolta nel gusto e l’irruzione del moderno nell’arte della danza. Ma Nijinsky fu anche un singolare destino, che ci parla soprattutto dalle pagine di un libro: questo Diario. Quando Diaghilev lo lanciò, nel 1909, Nijinsky era un giovanissimo allievo della scuola di danza di Pietroburgo. In brevissimo tempo sarebbe diventato uno degli esseri più osannati e idolatrati d’Europa – e il ‘culto’ è continuato sino a oggi. Ma l’equilibrio della persona Nijinsky era fragile: su di lui incombeva la follia, che lo avrebbe presto travolto. E proprio sulla soglia della follia Nijinsky scrisse, nell’inverno 1918-1919, questo febbrile Diario, a cui volle affidare la verità su se stesso, nei termini che meglio conosceva, quelli del «sentimento» («Io voglio scrivere questo libro per spiegare che cos’è il sentimento»). Con doloroso candore, con bruschi salti e impennate, con martellamenti maniacali, fra pause di disarmante dolcezza, con la lucidità del delirio, Nijinsky traccia qui, frammento dopo frammento, il suo autoritratto – e insieme fa emergere la sua versione della storia dei Balletti Russi. Diaghilev vi appare come un essere demoniaco, in brevi squarci memorabili, non privi di una loro comicità; Stravinsky come uno spirito avido e calcolatore; e via via gli altri protagonisti di quella turbinosa vicenda appaiono qui trafitti da uno sguardo inesorabile – lo sguardo dell’innocente che si è sentito tradito dalla malignità del mondo, del folle che ormai oscilla tra l’identificazione con Cristo e un’atroce prostrazione, visitata dagli incubi del sangue e della guerra. Grande scrittore involontario, Nijinsky ci fa percepire in queste pagine un certo clima da cui erano nati e in cui erano vissuti i Balletti Russi. E ci indica anche di quale specie fosse l’immenso potere della sua arte. Non solo estraneo, ma sospettoso e ostile verso l’intelletto, Nijinsky era dominato da un’invincibile pulsazione vitale, che tenterà poi disperatamente di trasporre in una visione mistica («Io sono un filosofo che non ragiona – un filosofo che sente»; «Io ho notato che ci sono molti esseri umani che non palpitano»). Accanto a un grande décadent, cosciente e perverso, come Diaghilev, insieme suo impresario, suo stregone e suo amante, Nijinsky rappresentava la natura nel suo intrico oscuro e fascinoso: «A me piacciono i gobbi e gli altri mostri. Io stesso sono un mostro dotato di sentimento e di sensibilità e so danzare come un gobbo». Era un portentoso incontro, una tensione che non poteva reggere. Dopo la rottura con Nijinsky, i balletti di Diaghilev non ritrovano più lo splendore dei primi anni; quanto a Nijinsky, diventa un mite recluso. Dieci anni dopo la stesura del Diario e la crisi psichica, Diaghilev volle ricondurre Nijinsky sul palcoscenico dell’Opéra. Ma il grande ballerino non riconobbe nessuno, nemmeno la Karsavina, che era stata sua partner in Petrouchka. Poco dopo, Diaghilev sarebbe morto a Venezia. Con loro si era aperta e si era chiusa la più straordinaria avventura della danza moderna.
Il manoscritto del Diario di Nijinsky fu ritrovato dalla moglie, Romola de Pulszky, in un baule nel 1934. La stessa Romola ne curò la pubblicazione nel 1937, omettendone, per ragioni di opportunità, alcuni brani, oltre che le notazioni coreografiche, delle quali intendeva preparare un’edizione a parte. Dopo la recente morte di Romola, il manoscritto integrale del Diario di Nijinsky è stato venduto all’asta da Sotheby a Londra, con grande clamore, nel luglio 1979.

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Dettagli

2
1987
1 gennaio 1987
176 p., ill.
9788845904110
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